Salto di qualità
Salto di qualitàArticolo di cinismo totaleÈ ora di fare sul serio. È tempo che le associazioni di pescatori di qualunque natura si accordino, costituendo un ufficio apposito, per difendere i fiumi dalle vere aggressioni, oppure tra non molto i giochi gestionali (no kill, sì kill, vermi, mosche, bigattini, 3 trote, 10 trote, i ripopolamenti, 24 cm, amo largo, amo stretto, ardiglione, tesserino, ninfe piombate, gare, ballerina ...) li andranno ad esercitare nelle fogne. Se nel frattempo non saranno divenute tutte campi gara. Roberto Messori Premessa – Questo scritto è il seguito naturale della trilogia:
- Noi assassini, Fly Line 3/95 - Più code che topi, Fly Line 4/95 - Sulla gestione, Fly Line 4/96 L’impatto antropico – Sapete davvero cosa signifi-cano cementificazioni, briglie, arginature, centrali ENEL, dighe, scarichi inquinanti, prelievi indiscriminati, cave di inerti e allevamenti ittici?
- significa dissociare i fiumi dal territorio; - significa rompere arterie vitali per la vita stessa sul pianeta; - significa danneggiare le falde, avvelenare la terra e i cibi; - significa amplificare l’effetto delle future alluvioni; - significa distruggere le specie che ci vivono. In breve, significa distruggere i fiumi e la loro capacità di rigenerarsi. Sull’impatto antropico in questa rivista si sono scritte centinaia di pagine e non staremo a ripetere cose a tutti note. Cose, purtroppo, di fronte alle quali le masse di pescatori dimostrano comportamento struzziforme: infilano la testa nella sabbia. Anzi, nella fanghiglia delle rive. La risposta delle associazioni - Di rado le associazioni di pescatori si occupano di questi problemi, solo in rarissimi casi lottano, con carte bollate e avvocati, contro privati e amministrazioni pubbliche che danneggiano l’ambiente in barba alle poche e povere leggi che lo vorrebbero proteggere. Queste lotte sono sempre ristrette all’ambito locale e solo in pochissimi casi un progetto distruttivo viene contestato.
I più delle volte invece le associazioni alieutiche lottano tra loro o con le amministrazioni pubbliche per seguire uno o l’altro indirizzo nelle regole di pesca. Regole che con l’ambiente hanno poco a che fare, regole che di regola, appunto, aggiungono danno al danno con ripopolamenti indiscriminati, regolamenti di comodo, gare di pesca, immissioni di pesce allottono e via dicendo. Le lotte dei pescatori associati vertono sulle misure dei pesci, sul numero, sulle tecniche di pesca, sui periodi, su tutto ciò insomma che alla fin fine si riduce ad essere la massa ittica: quintali di pesci spesso malati provenienti da allevamenti finalizzati all’alimentazione. è una torta miserabile da dividere, e puzza sempre di pesce. Qualcosa di buono – Le associazioni realizzano qua e là anche cose positive, perseguendo finalità ambientali, aiutando il pesce a riprodurre con l’ausilio di piccoli allevamenti di valle, lottando per imporre tecniche di pesca e limiti, cercando di rendere maggiormente consapevoli i pescatori, istituendo tratti a gestione speciale, ecc. Ma rimangono sempre vittime del vero problema.
E il vero problema... - ...é a monte. Per poter gestire un fiume così da preservarne o ripristinarne la naturalezza occorre che esso presenti le condizioni necessarie alla vita dei suoi ecosistemi. Intanto che vi sia l’acqua, poi che questa abbia la necessaria purezza, poi che presenti le caratteristiche morfologiche necessarie: gli sbarramenti devono avere impianti di risalita per le vitali migrazioni dei pesci. Solo dopo si può discutere e magari litigare su come gestire la pesca dilettantistica, solo dopo parlare di gestione della pesca acquista significato.
Non che la mal gestione alieutica non danneggi: i tratti di fiumi ancora decenti presentano popolamenti ittici miserabili a causa dell’elevata pressione di una pesca, troppo permissiva e per nulla controllata. è certo che, se l’impatto antropico è micidiale, l’azione dei pescatore è responsabile del colpo di grazia. Perché accade tutto questo? – La descritta situazione, purtroppo tremendamente reale, è andata via via incancrenendosi per una serie di motivi tra i quali:
- una cultura storica nazionale, si potrebbe dire genetica, poco portata al rispetto della natura, dovuta ad un paese perennemente sovrappopolato ove nella natura si è sempre cercata l’immediata fonte di reddito. - L’idea dell’impotenza di fronte alle prepotenze di uno stato e di un’industria totalmente insensibili ai problemi ambientali, e contro i quali le battaglie sarebbero destinate alla sconfitta. Come potrebbero i poveri pescatori competere con i potenti bisogni dell’industria, dell’agricoltura e giganti come l’Enel? - La poca consapevolezza della forza dell’associazionismo nei confronti del quale il “nemico” non ha neppure bisogno di praticare la strategia del “dividi e impera” essendo questa già uno stato di fatto. - Non parliamo poi di ignoranza, campanilismo, dilettantismo totale, interessi di parte, gelosie, prevaricazioni e i curiosi aspetti “tribali” tipici del micro associazionismo. - Ultima e, non da poco, la totale mancanza di fondi. E allora, che fare? – Io credo che una possibilità reale e potente esista. Occorre passare dal “dilettantismo frammentato pulsionale” al vero professionismo pianificato. Occorrono quindi professionisti e fondi.
- I “professionisti” potrebbero essere uno o più di quei signori che già agiscono in seno all’una o all’altra associazione. - I fondi, la volontà politica, l’appoggio e soprattutto il numero degli associati hanno una sola possibilità di origine: un consorzio tra tutte le associazioni di pesca di qualsiasi ordine, dimensione e struttura, rivolto solo alla lotta ambientale. Un simile consorzio nazionale non può trovare ostacoli poiché non deve occuparsi di gestione, ma solo di difesa degli ambienti fluviali da ogni tipo di impatto antropico. Vediamo come potrebbe nascere un organismo di lotta efficace, potente avversario per tutti coloro che danneggiano e distruggono fiumi e torrenti. La base realistica - é vero che le necessità dei pescatori appaiono qual poca cosa di fronte ai bisogni sociali accennati, ma è solo un’apparenza, poichè non si parla di bisogni dei pescatori, ma di un recupero ambientale di cui ha più bisogno la società stessa che non i pescatori. Arginare e costringere sempre più un fiume dopo un’inondazione significa curare un sintomo peggiorando la malattia. Costruire una diga il più delle volte significa seguire principi economici di parte danneggiando la collettività, e di questi esempi se non possono fare a centinaia. Le opere di ingegneria idraulica (cementificazioni, rettilineizzazioni, ecc.) sono nella maggior parte dei casi nefaste, con l’unica utilità di far girare miliardi in mani discutibili. Tutti questi aspetti sono ormai dimostrati da decenni, ma la pratica continuerà finchè non la si impugnerà con la forza, forza legale, naturalmente.
Si sono scritti articoli su articoli, si è informata la gente da anni con convegni, ricerche, proposte, libri, studi, scritti su decine di riviste ed ormai l’opinione pubblica è stata messa, se non nella coscienza, almeno nella conoscenza del problema. Ora però la situazione è di stallo se non si comincia ad agire, a raccogliere i frutti di tanta informazione. é il momento di una associazione finalizzata a curare le malattie individuate dalla ricerca, che suggerisce anche le cure opportune. Infatti non esiste problema che non possa essere affrontato con buoni risultati, senza penalizzare i bisogni sociali di industria, agricoltura e sicurezza dei centri abitati. Ipotesi di creazione di un consorzio nazionale per la difesa dei fiumiNaturalmente è un nome di comodo, anzi chiamiamolo CDF, che è ancora più comodo.
Base concettuale – Non credo che esista una sola associazione di pesca con interessi contrari alla lotta ambientale. Tutti i pescatori, dai fanatici delle gare a quelli del no kill con mosche prive… di amo, sono certamente d’accordo nel perseguire l’ideale di acque meno prelevate, meno cementificate e meno avvelenate.
Ricordate il proverbio arabo con cui termina l’articolo demenziale “Stati di allucinazione” in Fly Line 5/2001? “Io contro mio fratello, io e mio fratello contro nostro cugino, noi tre contro il vicino, noi tutti contro lo straniero”. Ecco, qui saremmo all’ultimo passo: noi tutti contro i distruttori di fiumi. Poi potremo continuare a litigare tra noi UNPeM, FIPS, CIPM, FIPSAS, l’ENAL pesca, garisti eccetera su come sforacchiare, liberare o friggere le pinnuto-proteine. Base economica – Ogni associazione dovrebbe partecipare alla costituzione di un fondo finalizzato per finanziare il CDF. E in un secondo tempo si potrebbero coinvolgere gli operatori commerciali.
E il potenziale? Pensando ad esempio a 20.000 lire per licenza di pesca si potrebbe disporre di un fondo annuale teorico di 20 miliardi, per un milione di pescatori. è solo un esempio, tra l’altro non tutti sono iscritti ad associazioni, un’ipotesi forse inverosimile, comunque in grado di offrire un’idea delle possibilità: si stipendierebbero due attivisti, due segretarie, un coordinatore, il necessario ufficio centrale, la insostituibile pubblicità e le spese legali per le inevitabili lotte, anche se i miliardi fossero solo tre o quattro. E che stipendi! Tra l’altro ecco inventato un nuovo lavoro ed una nuova, redditizia ed utile struttura. Agirebbe inoltre per pubblico interesse, con tutte le facilitazioni e conseguenze legali del caso. La struttura – Un ufficio centralizzato usufruirebbe di basi locali presso le associazioni con individui disposti ad impegnarsi, valutando ed elargendo i fondi necessari ad affrontare i problemi. In pratica ovunque si potrebbero avere appoggi locali, esistendo club e associazioni in ogni dove.
Una base è essenziale, purchè a tempo pieno ed improntata sul professionismo: informerebbe, coordinerebbe, fornirebbe appoggi e consulenze legali, studierebbe leggi e regolamenti ed avrebbe costantemente il “controllo” degli accadimenti, segnalati dalle associazioni o da chiunque sia attivo in tema ambientale. Sarebbe un appoggio potente ed efficace. La gestazione – è difficile per un volenteroso o un gruppo anonimo di volenterosi iniziare a strutturare una simile organizzazione, contattare a buon livello le associazioni più importanti, convincere e ottenere adesioni, accordi e aiuti. Agevolerebbe parecchio invece partire da un’associazione già strutturata anche grossolanamente e con finalità ambientali. Si potrebbero cercare appoggi presso strutture scientifiche come l’Associazione Ittiologi di Acque Dolci, presso magistrati sensibili ai problemi ambientali, presso avvocati che hanno già perseguito simili cause e via dicendo. Si dovrebbe partire insomma da una base e da personaggi fidati. Una sorta di “partito dei fiumi” insomma, poiché i fiumi hanno numerosissimi estimatori che soffrono nel vederli distruggere sempre più, mentre inizia a diffondersi in numerose valli la consapevolezza che il turismo alieutico è fonte di introiti tutt’altro che indifferenti, come ben sanno tutti i pam che pescano in paesi ove fiumi e popolamento ittico sono visti come capitali produttivi da salvaguardare con estrema attenzione.
L’innesco – Credo di rendermi conto di quanto possa essere difficoltoso creare un embrione del CDF. Forse più della creazione di un partito politico. Come si fa a convincere i presidenti di decine e decine di associazioni sparpagliate in tutto il paese ad accordarsi ed organizzare la raccolta di fondi? Di furbacchioni è pieno il mondo. Ed allora ecco come innescare il meccanismo per partire col piede giusto ed un buon “capitale” morale alle spalle: è necessario individuare un grave problema ambientale già noto all’opinione pubblica e organizzare la lotta per una soluzione. Attorno ad un problema “famoso” si verrebbe a creare una struttura formata da più parti, una sorta di “Comitato Ledra” (il comitato che riuscì ad impedire la cementificazione della sorgiva friulana) ad hoc per il problema individuato, ma via via allargato fino ad una dimensione quasi nazionale. Tale espediente, chiamiamolo così, verrebbe a risolvere problemi ostici quali:
- la credibilità del nascente CDR - la coesione tra associazioni in conflitto - la presa di coscienza della fattibilità e della forza sviluppata - la concretizzazione di un fondo Dopo una prima lotta se ne affronterebbero altre e si potrebbe allargare il meccanismo a macchia d’olio, stante la realtà nazionale ed il vuoto totale in questo settore della… “difesa”. I “Salmoni tornati nel Tamigi” sono da anni l’emblema della volontà e capacità inglese di recupero ambientale. Ecco, bisognerebbe che il nostro ipotetico CDF realizzasse qualcosa del genere, una bandiera da far sventolare come primo risultato. Le difficoltà – Si sono già visti numerosi personaggi partire, lancia in resta, per lotte ambientali dirompenti per poi vedere smascherati, veri o presunti, piccoli traffici commerciali che in tal modo speravano di far prolificare. Il terreno iniziale sarà quindi di diffidenza.
Si sono viste nascere anche associazioni con grandi programmi, per poi ritrovarle nell’oblio alieutico più totale. Per fortuna si sono viste anche persone volenterose e capaci, ma prive di un seguito in grado di sostenerle, ed altre che, perseguendo problematiche locali, sono invece riuscite ad ottenere risultati, risultati che magari nessuno conosce. Ecco perché è necessario un vero salto di qualità ed una vera organizzazione con persone che agiscano a tempo pieno, fondi disponibili e l’appoggio di masse consistenti che si sentano rappresentate con efficacia. La base ha bisogno di informazione e per l’informazione occorrono strumenti, ma questi ci sono già: riviste di pesca, programmi televisivi di pesca, siti web di pesca… Sono certo che tutti offrirebbero spazi ad una organizzazione efficace in grado di lottare per gli scopi citati. E l’UNPeM? - L’unica associazione di volenterosi “gestionalmente” sopravvissuta è oggi ancora l’UNPeM, ma se le periferiche sono attive, lottano ed ottengono risultati, rimane il problema cronico di una nucleo centrale vacuo, dissociato dalla base e male collegato alle stesse periferiche. Tolta l’attività del sig. Tacchini nella sua regione e l’attività del Coord. Toscano, in redazione perviene ben poca altra informazione sulle attività UNPeM, anzi nessuna.. Quando l’UNPeM nacque era collegata all’AIIAD (Associazione Italiana Ittiologi di Acque Dolci) quali e quanti contatti conserva ancora? Che cosa fa oggi di attivo il corpo centrale dell’UNPeM su scala nazionale? E se fa qualcosa, perché nessuno ne sa niente?
Le persone – Conosco, ad esempio, diverse persone attive da anni, pescatori dilettanti, avvocati, magistrati, ittiologi, ricercatori stanchi di vedere le loro ricerche non considerate ed i loro suggerimenti chiusi nei cassetti dei politici.
In effetti, come è successo in altri contesti, sarebbe bene che nel mondo scientifico qualcuno cominciasse ad attivarsi al fine di vedere il mondo politico smettere di chiudere a chiave indagini scientifiche e conseguenti suggerimenti, oppure tra non molto rimarrà ben poco da indagare. Il mondo scientifico deve relazionare direttamente alle masse per sensibilizzarle sulle idiozie politiche che regolarmente seguono ricerche intelligenti che raccomandano di regola il contrario. Un CDF come proposto potrebbe proporsi, ove necessario, come “braccio politico” della comunità scientifica. Insomma, se esiste una moltitudine di volenterosi e svariate associazioni dilettantistiche che, con pochi mezzi e poco seguito sono riuscite a inondare il Paese di tratti a regime speciale (criticabili o no) creando dal nulla un turismo alieutico di qualità, cosa potrebbero davvero fare lavorando in stretta collaborazione, coadiuvate da un ufficio centrale e con l’appoggio di tutte le associazioni esistenti? Dovrebbero però lavorare per la difesa dei fiumi, non per i piccoli interessi gestionali dei litigiosi gruppetti locali. Essi devono venire dopo e stare separati. Associazione o dissociazione? – Molte associazioni finiscono… dissociate per svariati motivi, di regola succede così:
- ci si separa e/o organizza per perseguire fini invisi ad altri gruppi, - per difendere la propria autonomia e consolidarla si entra in conflitto con i vecchi partners o con un gruppo potente preesistente: il nemico unisce! - i nuovi presidenti e dirigenti non vogliono più mollare il ruolo per tornare secondi a nessuno. - P.S. Qualcuno si comporta come se stesse per dominare il mondo. Ecco quindi che si forma un piccolo gruppo che si oppone ad uno più grande preesistente. Se il più grande è un colosso la lotta è perduta dall’inizio, si possono solo vincere piccolissime guerricciole locali più per volontà del potente che per capacità propria, a meno che il piccolo non abbia motivazioni migliori per le masse e soprattutto riesca a farle valere tramite l’informazione. Valgano ad esempio la potente FIPS e la piccolissima UNPeM. Il problema grave – è che gli aspetti conflittuali annullano quelli che potrebbero essere condivisi. Succede quindi che prevale lo scontro sui dissapori a discapito della collaborazione che potrebbe portare a buoni risultati ove la si pensa allo stesso modo.
Insomma, è la solita vecchia storia: lottare perché si è diversi distrugge, collaborare per il reciproco arricchimento… arricchisce. Lotta dall’interno – Una valida alternativa è lottare dall’interno. Si rammenti l’Impero Romano d’Occidente. Anche qui abbiamo un esempio: se SIM e FIPS di Castel di Sangro non avessero collaborato, la SIM, il Museo, la palestra di lancio e quella di pesca, il Sangro no kill ed alcune vittorie ambientali non esisterebbero. Addirittura il “nostro nemico naturale” come molti vedono la FIPS, qui ha parzialmente finanziato le strutture dei pam. Si è solo tesa loro una mano e la risposta è arrivata. A cosa avrebbe portato un conflitto?
Lottare dall’interno, anziché rafforzare il presunto nemico, lo aiuterebbe ad affrontare, conoscere e verificare aspetti nuovi, ad evolvere insomma. Non sarebbe neppure una lotta, ma soltanto incontri, spiegazioni e scambi di punti di vista. Non tutti la si può pensare allo stesso modo, ma comunicare è essenziale. Lotta inutile – Ma nel caso di una CDF non serve neppure una lotta: non esistono aspetti conflittuali. Chi non vorrebbe migliorare l’ambiente fluviale ed i popolamenti ittici?
Un incoraggiamento – Anche se le pagine di Fly Line sono state e sono regolarmente attraversate da nomi di personaggi impegnati sul fronte ambientale, qui nomi non se ne faranno, ma si ricorda l’articolo del dott. Francesco Parisoli, pescatore a mosca nonché magistrato sensibile ai problemi ambientali, pubblicato in Fly Line 2/93 (uscita disponibile) alle pagine 52, 53, 54, 55. L’articolo informa sulle leggi italiane utili all’ambientalista attivo ed offre due riferimenti bibliografici importanti per un primo approccio:
- In nome del popolo inquinato di G. Amendola, Franco Angeli Editore, e - Il Codice dell’Ambiente di S. Maglia e M. Santoloci, Editrice La Tribuna. Si ringrazia la rivista Fly Line di Roberto Messori per la gentile concessione dell'articolo.
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