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- Scritto da Beppe Saglia (beppe s.)
04/12/02
di Beppe Saglia
Ricordi.
Sto seduto davanti al computer. È tardi, ma è stata una buona giornata. Ho ancora voglia di condividere con qualcuno le mie emozioni, e le ultime e più forti sono quelle legate al recente viaggio negli States.
Prendo dal cassetto il diario di viaggio e lo posiziono li, accanto alla tastiera. Sono tornato da qualche mese ormai, e quel diario, scritto per la prima volta con cura e con piacere, non l’ho più riaperto.
Il gioco dei ricordi è piacevole, perfido e sottile.
Il gioco dei ricordi è piacevole, perfido e sottile.
Scrivo e scatto per non dimenticare, poi evito di leggere o di catalogare per non ricordare. La mente è ugualmente pervasa da immagini che si è scelta in modo autonomo, che come in un caleidoscopio ruotano, ritornano e si confondono. Ma ogni volta che ho forzato i ricordi, oppure ho voluto lenirne l’inesorabile affievolirsi, mi sono ritrovato di colpo più triste, pervaso dalla malinconia oppressione del tempo che scorre.
Sono ancora seduto accanto a Claudio, nella sua confortevole Chevrolet. Guida rilassato, l’avambraccio posato sul volante, tra le mani la solita Marlboro a consumarsi senza fretta; dietro Alberto dorme, puffosamente come sempre, così come Beppe R. quando non è padrone del discorso. Livio è silente ma presente. Le note degli Eagles ci accompagnano, dolci come le brulle dune collinose che stiamo attraversando.
Immagini sempre uguali, che all’essere uguali e ripetitive devono il loro straordinario impatto. Quante volte c’ero già stato li, con Gary Cooper, con John Wayne o con Kevin Costner.
Anche quell’unico grosso truck che ci sta alle spalle, sulle cui vistose cromature il sole che sale sta spruzzando gocce abbaglianti di luce, mi evoca hollivoodiani ricordi; mi rendo conto che non siamo in Duel solo quando ci passa senza dar fiato al sinistro clacson.
È sempre stato un sogno vagare per l’America, e ora che lo sto facendo mi sorprendo a coglierla ancora più sorprendente, almeno questa America, quella delle distese sconfinate, dei nastri d’asfalto infiniti e deserti, così lontana dal nevrotismo presenzialista e onnipotente dei suoi leaders politici, economici e televisivi, eppure così pronta ad appoggiarne e legittimarne le gesta.
Immagini sempre uguali, che all’essere uguali e ripetitive devono il loro straordinario impatto. Quante volte c’ero già stato li, con Gary Cooper, con John Wayne o con Kevin Costner.
Anche quell’unico grosso truck che ci sta alle spalle, sulle cui vistose cromature il sole che sale sta spruzzando gocce abbaglianti di luce, mi evoca hollivoodiani ricordi; mi rendo conto che non siamo in Duel solo quando ci passa senza dar fiato al sinistro clacson.
È sempre stato un sogno vagare per l’America, e ora che lo sto facendo mi sorprendo a coglierla ancora più sorprendente, almeno questa America, quella delle distese sconfinate, dei nastri d’asfalto infiniti e deserti, così lontana dal nevrotismo presenzialista e onnipotente dei suoi leaders politici, economici e televisivi, eppure così pronta ad appoggiarne e legittimarne le gesta.
In quel diario ci sono centinaia di miglia, vissute giorno dopo giorno, perché c’è sempre qualcosa di sorprendente da scoprire oltre il finestrino, qualcosa da chiedere a Claudio, che ha una risposta a tutto, risposte già scritte e dettate dall’amore smisurato per quella che da oltre vent’anni è la sua nuova terra.
Una vacanza ad alta velocità, ma gustata in pieno, sino a notte, quando seduti fuori dalle cabins a fumare in pace un toscano, tra un sorso di Jack Daniel, e una sistemata alle mosche, ci si interroga su quelle nuvole nere nello scuro del cielo di notte, su cosa ci riserveranno nel domani immediato ed in quello molto più lontano.
E allora, almeno per questa volta il diario non lo apro. È inverno ormai, e ci sarà tempo per farlo, per rivivere e far rivivere un grande viaggio, tempo per parlare dei singoli fiumi, delle catture, delle tattiche, delle informazioni.
Per ora lascio scorrere la mente. Parole ed immagini in libertà, a rincorrersi e perdersi tra le praterie infinite, perché oltre la pesca e oltre gli amici, sono il senso di libertà ed i grandi spazi le cose che mi hanno più profondamente segnato, e che so già che mi ricalamiteranno presto verso questa terra diventata subito amica.
Una vacanza ad alta velocità, ma gustata in pieno, sino a notte, quando seduti fuori dalle cabins a fumare in pace un toscano, tra un sorso di Jack Daniel, e una sistemata alle mosche, ci si interroga su quelle nuvole nere nello scuro del cielo di notte, su cosa ci riserveranno nel domani immediato ed in quello molto più lontano.
E allora, almeno per questa volta il diario non lo apro. È inverno ormai, e ci sarà tempo per farlo, per rivivere e far rivivere un grande viaggio, tempo per parlare dei singoli fiumi, delle catture, delle tattiche, delle informazioni.
Per ora lascio scorrere la mente. Parole ed immagini in libertà, a rincorrersi e perdersi tra le praterie infinite, perché oltre la pesca e oltre gli amici, sono il senso di libertà ed i grandi spazi le cose che mi hanno più profondamente segnato, e che so già che mi ricalamiteranno presto verso questa terra diventata subito amica.
Un'immagine che da sola racchiude l'essenza di un'esperienza indimenticabile. Guardare con orgoglio e rispetto quella cutthrout nella fievole luce della sera, sentirmi parte di un contesto primordiale, essere tuttuno con quell’acqua che scorre ora come scorreva secoli fa, immutata al cambio degli attori e dei riti, mi infonde una calda serenità, un senso di pace e benessere che non vedo l’ora di condividere con gli amici a fine giornata.
Paesaggi d’America. Viaggiando verso la meta. Nastri d’asfalto deserti, suggestivi e conturbanti; ora lunghe lance rettilinee a puntare l’orizzonte, ora sinuose curve ad abbracciare dune e colline; in simbiosi con il filo spinato sono gli unici elementi antropici di un paesaggio completamente naturale. Adagiati sul terreno, senza viadotti, banchine o muri, costituiscono una delle icone piùù forti degli States.
Paesaggi d’America. Ritorno dal Blackfoot river, parte bassa dell’Idaho, appena sopra lo Utah; gli spazi cominciano a dilatarsi, le coltivazioni di cereali seguono le ondulazioni del terreno, e giocano col sole che cala, creando una calda tavolozza di luci ambrate.
Paesaggi d’America. Da Victor verso Drigg, a cavallo tra il Montana ed il Wyomings. La forza della natura esaltata dai grandi scenari. Alla spalle il Grand Teton, di fronte le grandi praterie, saturate di luce dal sole che filtra tra i minacciosi nembi scuri. Con la testa ancora piena delle ballate country del "Cowboy bar" ed il palato ancora eccitato dal quell’esplosione di cavernicola bontà trasmessogli dal prime ribe di bisonte mangiato la sera prima al "Gun Barrel", ci siamo avventurati nell’unico percorso privato di pesca della vacanza, un ranch (sconfinato, manco a dirlo), attraversato dal Teton River, oltre che da alcuni piccoli creek che formano ponds imballati di trote.
Paesaggi d’America. Distese di salvia selvatica che rilassano l’occhio e deliziano il naso. In mezzo la mitica Chevrolet di Claudio, un mulo confortevole e fedele compagna di viaggio; ci abbiamo stipato i bagagli di cinque persone, personali e di pesca, canne, materiale da costruzione, fornelli, vettovaglie e vivande.
Lo scenario che compare improvviso dopo parecchie miglia di strada sterrata, tra lande deserte, polvere e scossoni, vale il costo del biglietto. È il Green River, nella parte alta. È stato uno dei pochi fiumi, insieme con il Beaverhaed, che ci hanno regalato contestualmente scenari mozzafiato e delusioni pescatorie. Entrambi affrontati forse troppo di fretta, senza ascoltare ed assecondare i tempi e i ritmi del fiume. E ci sta che nella patria del fast food, non sempre funzioni il fast fishing.
Li abbiamo cercati quando non era il momento, li abbiamo fotografati da 500 metri di distanza, buttando tempo e rullini, poi ci siamo finiti completamente dentro, accerchiati in macchina e quindi fianco a fianco sulle sponde del fiume, quando abbiamo smesso di pescare per goderci un attraversamento da Oscar. Bestioni possenti, rudi ed eleganti che in fila indiana sfidano la corrente e riemergono in un crescendo di spruzzi e di zoccoli che nemmeno John Ford avrebbe saputo rendere più maestoso. Tutto come previsto da Claudio, ma si sa, il bufalo per noi che siamo cresciuti con le canzoni di De Gregari è un altro mito a cui non si può rinunciare. Comunque pescare lo Yellowstone con alle spalle mandrie di bisonti al pascolo è una delle emozioni più forti che personalmente mi è capitato di vivere.
Il Firehole scorre tra il verde paesaggio lunare del Parco dello Yellowstone. Colori, contrasti, odori, fumi e getti di vapore. Dante ne sarebbe uscito ubriaco. Il Parco e non è solo pesca, anche se potrebbe esserlo. Mille corsi d’acqua pescabili per un totale di 2650 miglia, oltre duecento laghi, 75 mila pescatori all’anno che ci provano almeno una volta, il massimo che un PAM possa sognare. Non è però possibile trascurare i geyser, le montagne, le gole, le cascate, i fenomeni geologici, la miriade di animali selvatici, il territorio integralmente rispettato, tutte quelle cose che lo rendono il più vecchio ed il più visitato parco al mondo.
Il Gibbon, sinuoso piccolo corso d’acqua vicino allo Yellowstone River, ideale per alternare alla tensione del grosso fiume un paio d’ore in tutto relax, ed insidiare in un contesto bucolico salmerini e fario dalla livrea splendida anche se di misura decisamente modesta. In questa prateria senza fine si è consumato un mio piccolo dramma per fortuna risoltosi bene. Saltando un fosso ho perso la telecamera; ovviamente me ne sono accorto a notte dopo aver percorso un paio di km tra una sponda e l’altra. Grande disponibilità degli amici che il giorno seguente hanno rinunciato ad una giornata di pesca per aiutarmi a cercarla. Spazzolati palmo a palmo, ventre a terra, svariati ettari di sponde. E un grazie a Livio, quando a speranze ormai esaurite dopo tre ore di frenetica ricerca tra erba alta mezzo metro, cervi ed acquitrini, l’ha ritrovata. Quello che non ho digerito è che ha raccontato di averla trovata analizzando la mia psicologia pescatoria, in particolare la mia tendenza a sopravanzare il compagno di pesca tagliando le curve. Nonostante questa cattiveria si è guadagnato il diritto vita natural durante a chiedermi tutte le mosche che riterrà opportuno in tutte le future uscite di pesca insieme.
Una nazione giovane come gli U.S.A. non può che essere forzatamente povera di memorie storiche. Effettivamente per un italiano la miriade di "siti storici" costituiti da vecchie baracche in legno, di cui sono disseminate le principali arterie fanno un po’ sorridere. Bannack, anzi ciò che ne resta, merita invece una visita accurata, testimonianza ben conservata della corsa all’oro. Correva il 1862 e scorreva il Grasshopper River colmo del lucente metallo ...
Il Sunrise Fly Shop, a Melrose, nel Montana. Melmose conta 160 abitanti, non c’è un negozio, ma ci sono ben due Fly shop. È tutto dire. Una regione che vive di pesca a mosca, una cultura e una passione radicate nel territorio e nella gente. Nei fly shop, sulla lavagne, non sono segnati gli articoli in saldo, ma l’ora e l’intensità di schiusa dei principali insetti. Potessi scegliere il posto dove nascere una seconda volta, ecco, Melrose mi piacerebbe parecchio. Dovrebbe giocarsela con Jackson, o con West Yellowstone, e sarebbe una bella lotta.
Questa foto non ha bisogno di commento. Il passato ed il presente della PAM ;-).
Se ad Ennis hanno fatto il monumento al pescatore a mosca, a Logan non sono meno appariscenti. Ecco un’enorme monumento metallico dedicato alla Royal Coachman che fa bella mostra di se fuori da uno dei tanti Fly shop. Li si capisce perché Orvis può spendere un milione di dollari per sole spese di progettazione di una canna, mentre in Italia altri devono ricorrere al fai da te.
Spoglie di plecotteri, maschio (sx) e femmina (dx), un incontro che è stato ricorrente tra le grosse pietre dei fiumi del Montana. Due parole sugli insetti. Non si è verificata l’imponente schiusa di tricos prevista specialmente sul Big Hole, e nemmeno in modo costante quella delle green drakes, però P.M.D. e B.W.O non si sono mai fatte desiderare troppo. Così come le sedges, per imitare le quali con la consulenza di Livio mi sono inventato la "vapurusa" che ha avuto effetti micidiali sul Madison, sul Gardner e su altri streams.
Un giovane di aquila, colta dalla barca durante la discesa del South Fork dello Snake River. La pesca dalla barca con guida è un’avventura da provare, specialmente per gli amanti della TLT. Scoprire che il dragaggio, oltre che da lanci difficilissimi, può essere molto più facilmente vinto dalle possenti braccia di un barcaiolo che rema controcorrente, pone dubbi inquietanti. I paesaggi vissuti dall’interno del fiume, costantemente modificati dal suo continuo divenire, ora lento ora sinuoso, ora impetuoso restano scolpiti nella memoria grazie alla bellezza del posto e alla carica emotiva intrinseca della discesa.
In tema di giovani, eccone uno di Alce. L'abbiamo cercato per quindici giorni, scrutando in lontananza con attenzione praterie e paludi, per poi trovarcela a tu per tu, innaturalmente e pericolosamente vicina, mentre si pescava sull'Hoback. L'alce in America causa più vittime degli orsi. Animale imponente e massiccio, ha un brutto carattere.
I compagni di avventura. Da sx Alberto, Beppe R., Beppe S., e Livio. Perché questa foto ora? Semplice, si è appena parlato di caratteracci e sia io che l’altro Beppe ci difendiamo bene. Fortunatamente Livio ed Alberto sono abituati a sopportare!
Un omaggio a Claudio. Un grande cuoco. Con le poche risorse a disposizione, quando non siamo potuti per varie ragioni andare al ristorante, ci ha viziati con grandi spaghettate e grigliate, lanciandosi addirittura in un ananas flambée a colazione, il tutto sempre annaffiato di buon vino e caffè italiano.
Tra i tanti fiumi pescati mi diventa difficile fare delle classifiche. Troppo poco tempo per poter conoscere a fondo un ambiente. Però le sensazioni sono un qualcosa di meno oggettivo, e sulle sensazioni mi sento di sbilanciarmi ed assegnare la palma d’oro allo Yellowstone River, nel tratto del Parco a monte delle rapide. Sarà perché con una buona dose di culo l’ho fatta in barba a una fila di americani, sarà per i bisonti, sarà per le sue splendide cutthrout, o molto più probabilmente sarà perché me lo sono sognato per un anno e poi, a differenza di quasi tutti i sogni me lo sono trovato più bello di quello che avevo osato immaginare.
Una brown dalla splendida livrea del Big Hole, il più europeo dei grandi fiumi incontrati, che con le sue lunghissime spianate alternati a tratti di corrente veloce e vorticosa, spesso a portata di wader, è stato degna cornice per tutte le tecniche di pesca.
Claudio USA e Beppe S. sul Teton River, in un immagine specchiata, in quanto Claudio non avrebbe mai acconsentito di apparire a sinistra!
Scusate la divagazione a braccio. A presto resoconti tecnici sui singoli fiumi.
Un saluto a tutti.
Un saluto a tutti.
Beppe Saglia
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