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- Categoria: Avventure di pesca
- Scritto da Stefano Esposito (Hesp)
02/09/03
di Stefano Esposito (Hesp)
Sensazioni di una vacanza nei paesi baltici.
Le immagini che corrono dietro il vetro, i prati, i boschi e le campagne dei paesi Baltici, mi ricordano in continuazione che il viaggio sta giungendo al suo epilogo. Ancora tre giorni di camper e 2500 chilometri ci separano da Sanremo; come vorrei non ritornare a Sanremo…
E’ arrivato il momento di stendere un resoconto del viaggio, delle tante cose belle, di ricordare quei paesaggi e quei momenti che ora, chissà perché, ho la convinzione di non aver gustato a pieno. O almeno cerco di scriverne un resoconto, poiché i ricordi intasano la memoria, non riesco ad organizzarli. Mi abbandono al quel flusso continuo di immagini e pensieri. Ripenso a quando prima di partire ho ossessionato di domande gli utenti del forum, in particolare Kuna e Kiktajoki che sono stati così disponibili a darmi tutte le informazioni che desideravo. Ripenso alle ore passate al morsetto chiedendomi se quegli artificiali mi sarebbero serviti per fiumi e pesci che avrei incontrato; alla corsa per comprarmi un paio di weders da quattro soldi poiché i miei vecchi stivali avevano ormai tirato le penne; ai sogni che facevo, a come immaginavo la Lapponia, a come immaginavo me, dentro quel paradiso. Ebbene si è rivelato più di un paradiso. Poche cose brutte: zanzare e moscerini (sulle mani ho più di quaranta punture). Tante cose belle: i frutti di bosco, le foreste, i funghi, le renne,il fresco, i laghi, i fiumi e i pesci.
Persici, lucci, temoli e trote, trote bellissime, coloratissime e grossissime. Non ce ne sono tantissime, ma un incontro al giorno con trote del genere ti raddrizza la giornata. Ricordo il mio primo temolo, un temolotto sui venti centimetri. O per essere più precisi ricordo l’emozione provata poiché in quel momento ero talmente felice che di quel mio primo temolo ho solo un’ immagine confusa. Ricordo i tanti persici catturati e rilasciati, ricordo quelli trattenuti per mangiarli intorno ad un fuoco insieme alla mia famiglia. Ricordo le trote che ho visto tirar su da altri pescatori su fiumi in cui io non pescavo e mi mangiavo le mani. Ricordo le trotelle che superavano appena un palmo catturate sul Kiktajoki e la loro sorellina maggiore rilasciata anch’essa dopo una attenta rianimazione. Ricordo una fario enorme persa dopo un salto, ricordo la rabbia, ma anche l’emozione per l’incontro. Ricordo l’ultimo giorno di pesca, nel sud del paese, e la cattura di una trota di 50 cm esatti che ora sta ancora nuotando nelle sue acque vorticose. Ricordo l’emozione e la fatica più grande…
…alla sei del mattino mi sveglio, mi vesto, prendo la canna e sono già a pescare su una rapida del Kikta. Sono stanchissimo in quanto ieri ho smesso all’una di notte. In tutta la mattinata riesco a prendere solo qualche temolotto, un piccolo persico e una trota sui trenta. A mezzogiorno ci trasferiamo sull’Oulankajoki, il permesso ha validità dalle tre; alle due e mezza vado a vedere come è il fiume. Nel chilometro di fiume davanti al parcheggio non si può pescare, decido di scendere ma la scelta è sbagliata, fiume largo, profondo con rive impraticabili e corrente quasi nulla. Risalgo il chilometro su un sentiero che fa parte di un circuito per escursionisti all’interno del parco nazionale. Tutto veramente stupendo, arrivo alle rapide che segnano la fine della zona di divieto e lascio il sentiero. Il fiume qui scorre per poche centinaia di metri tra alte pareti rocciose scavate dall’ impeto dell’acqua. Non è semplice raggiungerlo ma stando attenti ad eventuali ruzzoloni (che nelle vicinanze di una rapida come quella non sono da consigliare) si apre davanti agli occhi un vero spettacolo della natura. Comincio a risalire le rapide pescando con uno streamer alla ricerca di una grossa fario in risalita dalla russia, ma il nulla. Pescare incassato in quell’orrido con gli escursionisti che ti guardano dall’alto da una strana sensazione. Decido di scendere il fiume alla ricerca di temoli, il fiume ha mille facce, si alternano laghi, canaloni e correnti; provo nei raschi e dove la corrente si fa più sostenuta. Un temporale mi bagna come un pulcino, ma mette in attività qualche temolo e una trotella che catturo con grosse mosche. Poi il nulla, faccio un chilometro a mollo nell’acqua senza pescare perché il fiume si è di nuovo trasformato in un lunghissimo lago. Finalmente vedo un bel raschio, sono convinto di trovarci qualche bel temolo.
Provo appena prima del raschio dove la superficie dell’acqua è uniforme ma la corrente inizia a muoversi un po’. I temoli seppur piccoli ci sono. Decido di provare proprio in mezzo al raschio dove , non so perché, ho quasi la certezza di prenderne uno grosso. Aggancio e recupero quello che sarebbe dovuto essere l’ultimo prima dello spostamento e una grossa sagoma nera aggredisce il mio temolotto. Lascio ingoiare; il pescione sembra non accorgersi nemmeno che il suo pasto è attaccato ad una lenza e ad una canna curvata al massimo. Risale il fiume tranquillo e senza scatti e io gli cedo tutta la coda. Smuoverlo dalla sua “passeggiata” è impossibile. Ad un certo punto sembra che finalmente si sia accorto che c’è qualcosa che lo spinge indietro e incazzato schizza via sul fondo della lama portandomi via qualche metro di backing. E’ la trota della mia vita, dalla sagoma mi è sembrata una trota sui settanta centimetri, non mi capiterà più una occasione del genere. Dopo la sfuriata decide di farsi recuperare lentamente. Non devo sforzare troppo il tip del sedici. Arriva a una decina di metri e poi riscatta a centro corrente, io la seguo lunga la sponda.
Non sono riuscito ancora a vederla. Prego tutti i santi che sono in cielo. La trota sembra di nuovo assecondare la mia trazione ma di nuova se ne va senza che io la possa scorgere. E’ sera, sono stanco morto, devo farmi ancora tre ho quattro chilometri di ritorno e ho in canna la trota della mia vita. Finalmente la trota si avvicina la sagoma è enorme, forse più di quello che avevo ipotizzato, cerco di prendere il guadino ma è incastrato, lo impugno, mi giro e vedo cosa realmente ha aggredito il temolo: un luccio. Un po’ di delusione mi assale, il luccio riparte e sono quasi sicuro di perderlo. Penso che sia impossibile tirar su un luccio che ha ingoiato per bene l’esca con uno 0.16. Per la quinta volta si fa riportare verso riva, lo tengo a galla e lo guadino con un colpo deciso. Il filo si spezza mentre il pesce entra nel retino. Non è una trota e un po’ di delusione c’è, ma poi subentra la soddisfazione di aver tirato su un pesce del genere. 45 minuti di lotta. 85 centimetri esatti. Penso subito: questo lo tengo. Me lo metto in spalla e comincio la strada del ritorno, fatico non poco, decido di non ritornare lungo il fiume ma di risalire la ripida sponda alla ricerca di qualche sentiero.
Fortunatamente trovo il sentiero che mi condurrà al circuito di partenza. Nei tre chilometri che mi separano dal parcheggio mi pento di aver ucciso un pesce del genere, vorrei che il muschio su cui sto camminando mi risucchiasse. Arrivo al parcheggio, la mia famiglia mi accoglie come un vincitore, la stanchezza mi prende e mi butto su un prato. Penso ancora a come sarebbe stato bello veder ripartire il pesce nel suo fiume, ma alla sera mi trovo sulla riva di un lago a mangiarlo con la mia famiglia; guardo il sole che sta tramontando e penso che forse ho fatto la cosa giusta. Siamo seduti intorno allo stesso tavolo a gustare un pesce che quella natura ci ha offerto. I conti con la mia coscienza non sono a posto, ma mi godo questo momento. Il tramonto, un fuoco, e una famiglia.
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