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ITA - Il Nera, visto in un modo un po’ diverso dal solito.

Italia 02/09/04
di Lorenzo Nogara by Yeti


Umbria, terra di gran cultura medievale, dove ancor oggi si respira un’atmosfera di misticismo e sacralità, dove sono presenti, in modo tangibile, i segni di un lontano passato, fatto di feudi e signorie, ma anche di umiltà e povertà.
Ci troviamo nel centro della nostra bella penisola e proprio qui, nella Valnerina, scorre uno dei più importanti fiumi della regione il Nera, bellissimo fiume appenninico di carattere torrentizio, che da alcuni anni, grazie anche alla corretta gestione cercata e voluta da Lega Ambiente e sostenuta dalla stessa Provincia, è diventato un riferimento importante per molti pescatori appassionati di pesca con la mosca.
Il primo contatto che ebbi con questo magnifico fiume fu nel lontano ‘94. Quell’anno, ebbi la fortuna di trascorrere una ventina di giorni di vacanza nello stupendo scenario paesaggistico di Norcia con la famiglia e, come tutti i PAM malati cronici di pesca, alla vista dell’elemento acqua, la malattia peggiorò di colpo e così, per la cura, si giunse ad un compromesso democratico oltre che equo con la tribù: la mattina visita alle città e relative chiese, il pomeriggio egoisticamente, pesca totale fino a notte.
Abituato com’ero ai torrenti valdostani, rudi e impetuosi, dove la pratica della pesca impone al pescatore certi ritmi diciamo veloci, m’accorsi subito, non appena m’avvicinai al fiume, che qui la musica era diversa, i ritmi erano diversi, più lenti, era lo stesso fiume che te lo imponeva e l’alveo, protetto da una rigogliosa vegetazione come se questa volesse celare qualche segreto misterioso, mi dava un senso di pace e di rilassatezza, tant’è che alla fine pescavo quasi in punta di piedi, tanta era la paura di disturbare e alterare quello stupendo quadro paesaggistico più unico che raro.
Quest’anno, in occasione del corso/stage organizzato della SIM, ho fatto ritorno sul mitico Nera e, come ogni volta, lui, il fiume, ha il potere di affascinarmi, di avvolgermi in un turbine di sensazioni uniche e indimenticabili.
È pur vero che vivere questo fiume dal punto di vista didattico anziché viverlo e gustarlo dal punto di vista della pesca è tutta un’altra cosa, comunque sotto certi aspetti il fascino che emana e l’ambiente che lo circonda resta sempre unico nel suo genere.
I lanci degli stagisti bucano l’acqua a ritmo incalzante e lui, il Nera, osservava tranquillo tutta questa messa in scena, come se non fosse coinvolto, eppure, anche se innocuo e tranquillo all’apparenza, offriva, a chi lo stava in qualche modo disturbando, tutta la sua magnificenza di fiume e di tecnica.


Solo con un’attenta lettura delle sue correnti e dei giochi d’acqua si comprendono le enormi potenzialità di pesca che il fiume offre. Sottovalutarlo e crederlo facile è il più grosso errore che un pescatore possa fare, infatti, non a caso, le trote più belle stazionano in posti quasi impossibili da raggiungere con il nostro artificiale.
Questo è il Nera!
Il pomeriggio didattico passò abbastanza in fretta tant’è che giunsero le 17:30, ovvero l’ora della pesca, quella vera e l’adrenalina cominciò a ribollire nelle vene di tutti, così, come la trota entra in frenesia alimentare prima di una schiusa, anche nel gruppo scattò la frenesia predatoria della pesca. Questo e l’uomo che per alcuni attimi si tramuta come un licantropo in bestia da caccia. Per fortuna è solo il primo istinto umano poi tutto si ridimensiona e torna normale.
Purtroppo, vista la stagione già avanzata, il tempo a nostra disposizione per pescare in santa pace s’era ridotto a circa un’ora e mezza, anche perché dopo la cena ci attendeva la consueta visione dei filmati e altre lezioni di teoria sul lancio.
Tutto ebbe inizio in meno di mezzora e i ritmi preparatori alla pesca non erano quelli di sempre; c’era la fretta di scegliere un posto non frequentato da altri, la frenesia di catturare la prima trota, la paura di fare cappotto, tutto questo mentre le prime ombre della sera calavano inesorabili sul fiume facendo aumentare ancor più i battiti cardiaci del nostro cuore. Che emozioni, impagabili!
Quella sera o meglio quella mattina poiché erano le 02:10, andai a letto stanco morto e, prima di entrare nel mondo dei sogni, nella mia mente s’affacciarono ancora le forti emozioni vissute poche ore prima sul fiume con gli amici di corso e così m’addormentai.
La mattina, dopo una stupenda colazione, ci attendeva un’altra lezione di teoria o meglio di “opinioni a confronto”con il Direttore che, per tutta la mattina, ci propinò nozioni ed evoluzioni di coda, che oserei definire uniche nel loro genere.
Durante la lezione di tanto in tanto qualche sparuto istruttore coraggioso seduto nel più profondo del gruppo, faceva capolino postando qualche domandina tecnica all’imponente Direttore che, come sempre, prima ascoltava l’esile scolaro, anche se con la mente aveva già elaborato una miriade di risposte e poi giù a sviscerare uno,dieci, cento e più concetti tecnici ed esempi lapalissiani a iosa. Che uomo, che tempra!
Nel pomeriggio, dopo aver assaporato un succulento panino (razione K che spetta durante i corsi) il fiume ci attendeva nuovamente a braccia aperte così come una madre avrebbe abbracciato i suoi figli. Sulla superficie dell’acqua, di tanto in tanto, alcune foglie morte erano trasportate a valle dalla corrente mentre alcune belle trote salivano tranquille a gremire qualche sparuta un’effimera che con fatica cercava di librarsi in volo in quel tiepido meriggio d’ottobre.




Così tra un lancio e l’atro giunse nuovamente la sera.
Nuovamente si ripresentò lo stesso scenario spasmodico della sera precedente. Chi preferiva andare più a monte, chi invece preferiva restare sullo stesso luogo dello stage e chi tra una pescata e l’altra ne approfittava per ripassare ancora qualche lancio.
Dopo il primo frastuono sul fiume, come d’incanto le voci si attenuarono all’improvviso e tanti ami ricoperti di piume si posavano delicatamente e con maestria voluta sulla superficie dell’acqua, alla ricerca dell’ambita preda. Così l’inganno era stato presentato.
Lei, la trota, la regina del fiume, bollava indisturbata e con una certa cadenza a fianco della corrente principale, sì proprio la corrente che lambisce il sasso, quello grosso sulla destra.
Restai fermo, quasi immobile, per paura che lei s’accorgesse della mia presenza. Il fiato s’era smorzato di colpo dall’emozione tant’è che sentivo il cuore pulsare in gola.
Aspettavo, come una belva affamata, il momento propizio per scagliare l’attacco, l’inganno di piume.
All’improvviso la coda saettò nell’aria pulita e tesa, portando la mosca a depositasi poco più a monte della corrente principale, proprio quella che portava il cibo alla regina che non s’accorse dell’inganno, così come i Troiani non s’accorsero dell’inganno d’Ulisse.
La ferrata fu morbida, non così la battaglia, perché come lei s’accorse d’essere stata ingannata iniziò subito a lottare con tutte le sue forze per la sopravvivenza. I suoi muscoli si tendevano fino allo spasimo, si dimenava e saltava aprendo la superficie dell’acqua con mille spruzzi per poi rituffarsi e ripartire a tutta velocità verso la tana, ma tutto fu invano così alla fine, stremata e rassegnata, dovette desistere e fu tratta a riva.
Dopo aver tolto con delicatezza l’amo che le aveva perforato le carni, l’accarezzai e l’osservai un attimo, qual tanto che basta per capire che il suo posto era e deve essere il fiume, dove fece ritorno.
La domenica mattina, l’allegra truppa scolastica fece l’ultima apparizione sul Nera, quasi volesse rivolgergli un saluto, giacché in cuor nostro tutti sapevamo che le emozioni purtroppo erano finite almeno fino al prossimo anno.
I saluti, gli abbracci e le ultime raccomandazioni hanno fatto da giusta cornice a tre giorni passati in amicizia e armonia su questo bellissimo fiume del centro Italia che sa sempre regalare immense e nuove emozioni, ogni volta che lo vedi e provi ad avvicinarlo.
Grazie Nera d’esistere.



Lorenzo Nogara by Yeti



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