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Déjà vu - La Vautour

VOLTO ANDREAVIDOTTO testo e foto di Andrea Vidotto (Nino)  

 Déjà vu   

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logodejavuV... Quando dialogo con P. Bertacchini, mi viene sempre in mente C. Ritz, quando conobbe M. Simonet e lo vide in azione. Rimase talmente impressionato, che gli balenò l'idea di smettere con l'alieutica....Fortunatamente lo sgomento, passò presto e continuò nel suo prolifico percorso. Alla stessa stregua, mi vien voglia di smettere di scrivere; tanta è la conoscenza del "dettaglio", del Duca d'Aveto. Poi penso che: Ritz era Ritz, ed io so io....che con l'equazione del Marchese del Grillo, non conto un c...o e posso mettermi l'anima in pace....Quindi oggi avete la fortunata possibilità di illuminarvi con una autentica perla di conoscenza, dalla penna(!) del reverendissimo Duca. Buona lettura! 

 Andrea Vidotto (Nino)

 

La Vautour

 

Con il termine “condor substitute” vengono commercializzate sezioni di penna che, in realtà, hanno ben poco in comune con quelle del rapace cui fanno riferimento. Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta semplicemente di tacchino tinto. Anch’esse molto utili per la costruzione di mosche finte, ma alquanto diverse dalle altre con le quali si vorrebbe riscontrare una similitudine. Le caratteristiche salienti dell’herl (o barba) di condor sono riassumibili in robustezza e colorazione complessiva beige, tranne che su uno dei margini laterali ove spicca una serie ininterrotta di barbule nerastre. Ed è quest’ultimo l’aspetto interessante che fa la vera e propria differenza. Dopo essere stata avvolta sul gambo dell’amo, infatti, darà origine a un addome nel quale comparirà una segmentazione naturale in grado di fornire un’impressione di grande realismo vitale. Non a caso l’herl di condor destò l’interesse di grandi personaggi italiani che seppero creare mosche finte la cui redditività continua ad essere fuori discussione. Walter Bartellini con essa realizzò tre sommerse, fra cui la AN ad imitazione della “stravacca”, termine dialettale attribuito in Valsesia ai grandi plecotteri tipici della famiglia Perlidae. A Sandro Ghilardi, invece, si deve la creazione di una secca in piccole dimensioni di amo validissima tanto per il temolo quanto per la trota, una parachute con corpo in condor ed un’aletta bianca visibile anche da lontano. Ed infine, per entrare nel campo della ninfa, è a questo punto doveroso parlare di André Terrier. “La Vautour”, l’Avvoltoio, era una delle due ninfe da lui preferite. Alcuni amici dei Pirenei gli avevano decantato le virtù della penna di tale rapace presente sul loro territorio. Si tratta del Grifone eurasiatico (Gyps fulvus), detto anche Avvoltoio fulvo. Per inciso è sempre stato presente nel nostro Paese, in Sardegna, ed in tempi recenti si è provveduto con successo alla sua reintroduzione anche in altre regioni. Per concludere, nel mondo esistono 23 specie di avvoltoio suddivise in Grifoni e Gipeti (avvoltoi del Vecchio Mondo) e Condor (avvoltoi del Nuovo Mondo). Dopo molte sperimentazioni, quindi, André Terrier pervenne all’elaborazione di una delle sue ninfe preferite: filo di montaggio marrone chiaro, code in gallo rosso chiaro naturale, corpo in herl di avvoltoio fulvo tinto in colore olivastro mediante acido picrico, alcuni giri di filo di piombo diametro 0,30 - 0,40 avvolti all’altezza del torace oppure anche su tutto il corpo, amo n° 14 e 16 tipo Kamasan B 405, testa voluminosa marrone chiaro. Ovviamente l’acido picrico va utilizzato in soluzione già predisposta all’ 1% dal momento che i suoi cristalli rappresentano un materiale altamente esplosivo. In alternativa è altrettanto possibile ottenere un analogo risultato con le consuete tinture, o persino mediante la curcuma. Nella serie ATO delle sue ninfe da temolo, riprodotte e commercializzate da Devaux, venne sempre precisato che due di tali esemplari erano altamente redditizi anche nei confronti della trota, come peraltro evidenziato recentemente anche da parte di Andrea Vidotto. Le loro numerazioni variarono nel tempo, ma il primo esemplare in esame (contrassegnato dal n° 9) consisteva in una sorta di camolotto in barbe di fagiano con voluminosa testa nera, mente il secondo (contrassegnato dal n° 8)… sarebbe dovuto corrispondere alla “Vautour”. Probabilmente a causa del difficile reperimento delle penne di avvoltoio si optò per le herl di altro volatile tinto in verde che diedero origine ad un corpo vellutato, oltre ad altri particolari anch’essi lontanissimi dal modello originale, quali una testa nera e codine in gallo di colore giallo verdastro. Un’ultima considerazione. Cercare di riprodurre fedelmente le mosche finte dei grandi pescatori del passato, ed impegnarsi nel loro utilizzo con cognizione di causa, non è mai tempo perso. In tali circostanze potranno essere sovente conseguiti risultati davvero impensati, tali da farci riflettere sul fatto che esse giacevano in una sorta di ingiustificato obliò che attendeva solamente di essere risvegliato.

Paolo Bertacchini

 

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