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Raffaele De Rosa

Le INTERVISTE di PIPAM
di Valerio BALBOA Santagostino

RAFFAELE DE ROSA



Raffaele è pescatore da sempre. Nato a Valdagno (VI), vive e lavora a Milano dove è titolare di un’agenzia di advertising e una di packaging design. Ha due figli,Tommaso e Michele. Non è ancora nonno e ci tiene a dirlo.
Chi lo conosce e ne apprezza l’esperienza e la conoscenza del fiume, delle tecniche di pesca e della costruzione di artificiali, sa che questo è dovuto al grande amore per questo sport e per il grande rispetto che ha sempre avuto per il pesce e la natura.
Ha cominciato a pescare “a mosca” subito dopo la guerra, nel ’45. La sua prima acqua era un fontanile, dove insidiava spinarelli dal ponte con un pezzo di filo e un amo. Su questo amo lui e i suoi amichetti mettevano una mosca vera!
Ma è stato uno zio di Gorizia ad avviarlo alla pesca “a cucchiaino”, con una delle prime canne in fibra di vetro, un lusso per allora, dal momento che erano tempi in cui chi pescava a spinning si riteneva fortunato se riusciva a trovare una canna fatta con l’antenna di un carro armato Sherman!
Da allora ha fatto tutte le pesche.
A mosca vera ha iniziato nei primi anni ‘60, con l’apertura del Fly Angling Club di Milano dove è rimasto fino alla fine degli anni 70.
Erano anni fantastici, mi spiega. Era una pesca nuova e appassionante. Un vero sport che andava oltre il semplice piacere di catturare del pesce. Era un’esperienza che richiedeva un approccio interdisciplinare e, insieme alla pratica sul campo, studio, applicazione e volontà di approfondimento. Attività che lo coinvolse con totale entusiasmo.
Nel Fly Angling, col tempo, comincia a tenere corsi di lancio, di costruzione, serate teoriche anche in altri club, favorendo l’apertura al club di contatti ed esperienze dei maggiori personaggi italiani. Collabora con articoli a Consigli di Pesca, la pubblicazione del club edita da Ravizza. Inizia con una lunga serie di articoli anche su Pescare, con cui successivamente crea e dirige, per l’Editoriale Olimpia, Pescare MS, il famoso trimestrale di pesca a mosca e di spinning che raccoglie anche il contributo di pescatori come Oglesby, Jaworowsky, Riccardi, Lefty Khreh, Gatherkole e molti altri famosi personaggi internazionali.
In seguito fonda il Fly Fisher Club con alcuni amici e continua con le diverse attività di club: traduzioni di libri, pubblicazione di quaderni, etc..
-“Pensa che ero riuscito a farmi dare dalla Fipsas un pezzo di Adda, dal ponte di Spino a monte, da utilizzare solo per la mosca”- mi dice, -“ un gran bello specchio d’acqua, accidenti! Durato solo due anni, perché poi quel tratto è passato alla provincia di Cremona e tutto il gran lavoro di preparazione e di organizzazione è finito in nulla. “

V: Ciao Raffaele sei stanco di pescare?

R:  Ma stai scherzando? Se iniziamo cosi, l’intervista è già finita.

V: Lo so .. lo so che facendoti questa domanda ti faccio incazzare! L’ho fatto apposta, cosi partiamo belli caldi!
Qual' è la pesca che preferisci?


R:  La secca, ma quando necessita vado a ninfa, a sommersa o a streamer.
Usare solo la secca per scelta è divertente ma è troppo limitativo e in certi casi rasenta il fanatismo. Quando si va sul fiume per pescare bisogna pescare. Non si può stare quattro ore in attesa di una bollata. Ammesso che quel giorno il pesce abbia l’intenzione di farlo.


Con canna di bamboo sulla Traun

V: Il pesce che ti ha lasciato il segno?

R:  Sul Traun avevo catturato un Hucho: tirava come un forsennato.
Ma il vero segno lasciatomi da un pesce ce l’ho sul pollice destro. E stato un bastardo di luccio che non voleva farsi slamare!


Dopo la canna e la fortuna, l’attrezzo più importante è il morsetto

V: : Il pesce invece che vorresti prendere?

R:  Tutti quelli che non sono riuscito a catturare per incapacità o sfortuna.

V: E il tuo sogno segreto?

R:  Mi piacerebbe pescare sul Test o sull’Itchen insieme a Skues, per vedere come pescava e trattava il pesce preso. E magari tornare a Londra in treno fumando un sigaro e malignando sui “ciapa-pess”.


Prima bollata

V: Cosa pensi del lancio?

R:  Il lancio è una parte fondamentale della pesca a mosca, anche in termini sportivi.
Si può pescare un pesce con un lancio di quattro metri o anche di dieci. Ma fermarsi lì equivale a uno che vuole andare in auto da Roma a Milano in 500. Arriverà molto dopo rispetto a uno che usa un BMW. Bada bene, arrivano tutti e due, ma è garantito che arriva prima il BMW.
Inoltre, sia per propria soddisfazione sia per i risultati migliori che si ottengono, essere padroni del lancio è gratificante e molto divertente.
E poi, come si dice, chi ha stile in pesca l’avrà anche nella vita di tutti i giorni.
La stessa cosa vale per l’entomologia. Saper conoscere gli insetti del fiume e il loro comportamento vuol dire essere in grado di usare artificiali e tattiche più adeguati alla situazione, poter affrontare qualsiasi fiume con maggiori probabilità di successo e disporre sempre di una fonte di interesse e di divertimento, anche quando il pesce non è in attività o è assente.


Seconda bollata

V: Come vedi la pesca a mosca in Italia?

R:  Sono un po’ fuori dai club. Ma in Italia quando vado a pescare con qualche amico mi tengo aggiornato sullo stato delle cose.
Genericamente parlando, mi pare che la situazione della pesca si sia evoluta secondo il sistema di vita generale: troppo consumismo.
Oggi se non si posseggono tante canne non si è nessuno.
In conclusione, quando sul fiume si è soli, si pesca molto molto molto bene.


V: Meglio allora che non ti dica quante ne ho ( ndr : .. di canne)!
Il fiume che ti ha lasciato il segno?


R:  Il Gacka, per il tipo di fiume. Una vera università della pesca a mosca. Profondo, con tante erbe che provocano un sacco di correnti e correntine.
Volendo evitare di appesantire la mosca con del piombo, è difficile farla scendere a più di un metro e mezzo o due. E si deve imparare a farlo senza usare questo artificio: siamo pescatori a mosca, non a camolera. E il pesce: grande e forte. Le trote più grosse si perdono perché si infilano sotto le erbe e spaccano lo 0,18! Il mio record di fario e quello del fiume, rimasto tale per non so quanto, è stato di tre chili e ottocento.
Gli insetti: una incredibile varietà. E una produzione industriale di schiuse: precise e puntuali come un treno svizzero.
Un altro, molto ma molto più modesto, è il Margorabbia. Quello di quattro o cinque anni fa, però …
Oggi hanno tagliato gli alberi cresciuti sulle rive con il risultato di provocare l’aumento della temperatura dell’acqua, hanno costruito una pista ciclabile lungo tutto il suo percorso, spianato buona parte del letto del fiume eliminando le poche buche e zone di rifugio del pesce e, come se non bastasse, stanno costruendo capannoni, centri commerciali e residenziali cementificando tutta la valle. E’ un vero peccato che un fiume così ricco di vita faccia una fine così. E pensare che basterebbero pochi ed economici interventi per rendere il fiume ancora fruibile sia dai pescatori che da una gran parte di abitanti e turisti che popolano la zona.


...e prese


Fario record: Gacka 1971

V: Una mosca che ricordi con molto piacere?

R:  Tutte quelle che mi hanno fatto salire il pesce.

V: Cosa pensi del No-kill e di AD?

R:  Quando è nata Autodisciplina, l’idea era nell’aria. In Francia era nata un’associazione di tutela e rilascio chiamata Trout (o Timallus, non ricordo bene).
Al Fly Angling Club se ne parlava da un pezzo ma stentava a partire per la resistenza di alcuni che erano ostili a promuovere il no-kill. (allora non si chiamava così). Fino a che, in un’assemblea di inizio stagione del Consiglio, Carlo Rancati, per superare l’empasse, propose la limitazione delle catture giornaliere a massimo tre trote. L’idea passò e ci mettemmo tutti a lavorare per realizzare quella che per gli italiani doveva costituire una grande e coraggiosa novità. Anch’io feci la mia parte. Il nome diventò Autodisciplina e facemmo di tutto per divulgarlo. A proposito, chi ha cambiato il nome originario con un semplice AD? Autodisciplina mi sembra molto più autorevole, convincente e memorabile. Eppoi, è nato così, ostrega!

V: Ti rispondo subito, Raffaele. Nel 2008 un gruppo di amici ha preparato un manifesto sull’impegno che ogni pescatore dovrebbe prendere con se stesso per garantire un futuro alle acque libere. Lo hanno chiamato Autodisciplina 2008, abbreviato AD con un suo logo.

R:  Il no-kill è il piacere di sostituire il “quanto” con il “come” si è catturato. E dovremmo tutti imparare a non uccidere quel pesce ma a premiarlo per la soddisfazione che ci ha dato. Anche i Svezia, che di pesce ce n’è tanto, le zone no-kill sono in costante aumento.
E comunque, tornando ad Autodisciplina, avrei preferito che questo gruppo di pescatori avesse prima interpellato il Fly Angling Club di Milano, al quale appartiene l’idea e il nome di Autodisciplina e del quale, fino a prova contraria, non risulta nessun atto di scioglimento.

V: Svezia?

R:  Si, Svezia. In famiglia siamo tutti molto appassionati della Svezia. E la frequentiamo il più possibile. Sia io che i miei figli. Loro a vela, io a temoli, trote e a lucci. E le mogli a funghi!


Sulla Traun

V: E i salmoni?

R:  Si anche loro, sul Ljungan più vicino e sul Byske più lontano da dove abito. Oppure, attraverso la Svezia, sbuco in Norvegia a Trondheim e salgo verso il Namsen dove c’è l’imbarazzo della scelta di fiumi per salmoni e anche temoli.
Oppure, più a portata di mano, in tre ore arrivo fino a Ostersund, vado ancora un po’ più avanti e mi butto sul primo fiume norvegese che trovo.
Quest’anno però non ho né pescato né passato le vacanze in Svezia, perché ho assistito il mio cagnone di 17 anni. E’ morto di vecchiaia e gli sono stato vicino fino alla fine. Era il mio grande amico.

V: Preferisci pescare in acqua dolce o acqua salata ?

R:  La salata l’ho frequentata poco, anzi per la precisione, mi sono stufato del mare.
Ai tempi mi passavo tutto il litorale in tenda da Viareggio in giù, pescando a spinning e a casting. In realtà, anche se non me ne rendevo conto, ho sempre preferito la montagna.


Separazione delle split hackles con il materiale dell’addome

V: Sei stato l’inventore delle split hackles, me ne vuoi parlare?

R:  E’ una tecnica costruttiva che risponde all’obiettivo di leggerezza e scarsità di materiale. Più semplice e più rispettosa della silouhette dell’insetto imitato.
La Split hackles è stata la conclusione logica delle considerazioni che facevo in pesca. Una mosca che ha molti giri di hackles è ben diversa da un effimera posata sull’acqua. Un’effimera ha sei zampe, quindi l’imitazione dovrebbe avere solamente pochissime hackles per ottenere efficacia e trasparenza. Era la fine degli anni 60.
Cominciai a pensare di costruire un nuovo tipo di mosca. Le imitazioni di effimere convenzionali mi apparivano goffe caricature quando le confrontavo con l’insetto, cosi delicato e trasparente. Ho fatto esperimenti con una bacinella colma d’acqua per studiare le differenze fra la mosca e l’insetto visti dalla parte del pesce, cioè da sotto. Per effetto del peso della mosca, le barbe verticali delle hackles penetravano immediatamente nell’acqua e la mosca cominciava ad affondare. Il processo di affondamento si fermava solo quando la mosca si appoggiava sull’acqua anche con il corpo e le barbe orizzontali. Era chiaro che solamente una parte delle hackles risultava utile, quindi cominciai a separare le hackles utilizzando il materiale usato per il corpo e tagliai completamente tutte quelle della parte superiore.


Heptagenia Sulfurea subimago

In definitiva le split hackles sostengono ma non fanno massa. Non contento le ho adattate a diversi stadi di vita di un insetto: le Still, che riproducono l’insetto fermo, le Skating dove ho raggruppato quelle imitazioni che intendono riprodurre degli insetti in movimento sulla superficie dell’acqua. E ancora le ninfe Emergenti, che imitano ninfe che schiudono dentro l’acqua, le Semidun, che ricordano quelle ninfe che incontrano difficoltà a sfarfallare e rimangono con il torace, le ali e le zampe fuori dall’acqua mentre l’addome è imprigionato nell’involucro ninfale.


Semidun di E.ignita


Esclosione difficoltosa di una semidun di E.ignita

Le Deponenti, simili alle Semidun. La sola differenza è costituita dalla presenza dell’addome al posto dell’involucro ninfale. Le Imago Sub, molto redditizie nelle acque basse, al mattino o nel tardo pomeriggio.


Imago sub

Rappresentano imago di effimere che risalgono in superficie dopo avere deposto le uova sul fondo del fiume. E per finire, le Spent, con le quali intendo imitare tutte quelle imago morte o morenti sul pelo dell’acqua dopo l’ovideposizione. Le considero, a torto, spesso sottovalutate. Concludo dicendo che con le Split Hackles si ottiene una mosca estremamente leggera e catturante. Una mosca che riproduce al meglio la silhouette e il colore dell’insetto senza perdere nulla, anzi guadagnandone fortemente in galleggiabilità.

V: Mi ricordo anche dei “bilancieri”.

R:  I bilancieri sono un’idea tanto semplice quanto efficace. Sono la continuazione in senso orizzontale delle hackles e rappresentano le zampe posteriori dell’insetto, fornendo una ulteriore base di appoggio e di stabilizzazione alla zona posteriore, quella che sostiene il peso maggiore dell’artificiale. I bilancieri sono un elemento estremamente utile alla mosca perché non riduce, anzi ne aumenta l’aspetto imitativo dell’artificiale. Bastano 3-4 barbule disposte ai lati del corpo per aumentare incredibilmente la capacità di galleggiamento soprattutto per la pesca in torrente anche delle mosche più grandi e pesanti.


Baetis Rhodani subimago
V: Hai lanciato anche il capok come nuovo materiale da costruzione …

R:  Il Capok è una lanuggine vegetale ( tipo cotone idrofilo ma molto più fine ) molto idrorepellente. Avevo letto da qualche parte che lo usavano in guerra per fare i salvagente. Veniva usato anche dai tappezzieri nelle imbottiture. E’ un materiale dal bassissimo peso specifico e ha un’ottima translucentezza quando è bagnato. Ma tingendolo la sua capacità di galleggiare si perde un pochino. Ho quindi cercato e finalmente trovato dei procedimenti per ridargli impermeabilità.


Ampie Hackles a sostegno di una grossa mosca

V: Parlami dei due libri che hai scritto ( ndr: “ Pescare con la mosca”, 1° e 2° volume ).

R:  Il pescatore a mosca, durante la sua carriera, attraversa due fasi di evoluzione. Nella prima fase egli usa delle mosche scelte per esperienza diretta, per caso o semplicemente perché gli sono state consigliate. Può continuare cosi per tutta la vita con alterne fortune come tutti e sentendosi appagato. Oppure può cominciare a chiedersi perché le sue mosche a volte sono catturanti e a volte no. In altre parole scopre la stretta relazione fra le sue mosche e gli insetti presenti sull’acqua, tra il modo di come le presenta al pesce e il comportamento di quegli insetti. Scopre anche che esistono dei fenomeni dovuti all’acqua e alla luce che influenzano il pesce nella scelta o nel rifiuto della mosca. Nei miei due libri cerco di dare una risposta a tutte le domande che mi sono posto fin dall’inizio della mia carriera di pescatore a mosca.

La parte originale dei miei libri non è tanto l’impostazione. Il modo con cui affronto l’argomento “pesca a mosca”, tutti i libri classici sull’argomento, dall’ottocento in poi, ne parlano partendo dal presupposto che la pesca moderna si basi sullo studio del comportamento del pesce, sui fenomeni fisici che lo condizionano e sulla fonte della sua alimentazione.
Naturalmente, anch’io ho seguito questa impostazione. Argomento per argomento. E tuttavia in ognuno di questi ho cercato di dare un’interpretazione ponderata, spesso con risultati innovativi che rappresentano un passo avanti. Di certo il lettore è un pescatore che si pone delle domande e nei miei libri troverà sicuramente molti argomenti di riflessione. Ti faccio un esempio: c’è un capitolo sulla scoperta che la mosca in superficie vista dalla trota è visibile anche fuori dal cono visivo del pesce.


(Foto subacquea di Gian Franco Giudice)

E’ una scoperta che sembra contraddire i fenomeni fisici della “finestra del pesce” da sempre enunciati in tutti i classici del passato. Io sono andato sott’acqua a osservare il fenomeno e ho constatato che almeno nel novanta per cento dei casi, in relazione alla luce, al fondale e ad altre circostanze, si producono altri fenomeni fisici che illuminano e rendono visibile la mosca anche fuori dalla finestra. Una scoperta del genere influenza sicuramente le tecniche di pesca e la creazione di nuovi artificiali.
La presentazione della mosca in relazione all’angolo di incidenza della luce è un altro argomento inedito ed estremamente interessante. E ancora le bollate e la loro lettura, altro argomento poco decifrato. Ovviamente anche la costruzione e la struttura delle Split hackles, i Bilancieri, il Capok, le codine e in ultimo un’ altra questione di grande interesse: la diffusione della luce nell’acqua e la visione dei colori alle diverse profondità. Ho detto “tutti passi avanti”. Se piccoli o grandi, sarà il lettore a decidere sull’ argomento.


La galleggiabilità superiore delle Split Hackles

V: Ti piace costruire?

R:  Certo, il giusto.
Premetto che costruisco le mie mosche secondo l’esigenza di pescare e non mi occupo del pur encomiabile aspetto competitivo della costruzione. Anche perché, quando costruisco una mosca, non riesco a resistere alla tentazione di fare qualche variante del dressing. Per cui mi vengono delle mosche sempre con qualche piccola differenza fra loro. E’ un difetto come costruttore ma diventa un plus se la mosca leggermente diversa dalle altre comincia a rendere di più. E poi, non riesco a fare una serie di mosche, che uso ovviamente solo per me stesso, superiore al numero quattro. Due piccole e due più grandi.


Subimago di Paraleptophlebia

V: Scusa, ma quello streamer da lucci che vedo sulla tua scrivania?

R:  Sto costruendo, e mi diverto molto, a fare degli streamer da lucci per la Svezia. Sono dei prototipi più leggeri di quelli che sto usando dalla barca per poter pescare da riva dove necessitano lanci più lunghi. Naturalmente con la canna a due mani in entrambi i casi.

V: Come li fai?

R:  Piero Letizia mi aveva dato del materiale da dubbing molto bello, un sintetico morbido che fluttua e si muove assai bene nell’acqua.

V: Che altri hobby hai oltre la pesca?

R:  Ho fatto quattro anni di scuola di disegno e pittura. Ero quasi passato alla professione. Poi ho scoperto che l’advertising rende di più.


La corretta inclinazione di ali e hackles

V: Hai mai dovuto affrontare una brutta situazione durante un’uscita di pesca ?

R:  Due volte: una volta sull’Unec. Ero sprofondato in una specie di sabbia mobile. Ero da solo.
Ne sono uscito a fatica, aggrappandomi a ogni filo d’erba. Ci ho messo mezz’ora buona e alla fine ero distrutto.
Un’altra volta ero in un laghetto svedese. Sono sceso dal pontile e sono sprofondato nella melma fino alla cintura. Ovviamente non c’era nessuno in giro. Quella volta li, si che mi sono davvero spaventato.

V: Vai ancora a pescare?

R:  Si, vado a primavera e in autunno nei miei fiumi preferiti: il Sesia, l’Adda, l’Orco, perché in estate pesco all’estero.
E poi il Ticino svizzero e il mio caro Margorabbia.


V: Carina questa foto, cosa significa?

R:  E' l'augurio che mi ero riservato per la prossima apertura e che sono lieto di rivolgere anche a tutti gli amici "moschisti."

V: Grazie Raffaele del tempo dedicato a PIPAM, speriamo di fare una pescata insieme sul Gacka.

R:  Ci conto, grazie a te.


Valerio Santagostino (BALBOA)
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