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Brad, parte seconda!

Italia  11/07/11 Testo, foto e filmato di Beppe Saglia (beppe s.)
11 Luglio 2011
Racconto


Ci son voluti quattro anni per dar seguito a quel (continua…) con cui avevo chiuso il racconto per Pipam titolato Brad
Almeno cinque o sei volte son tornato a quel lago. Ogni volta ho riposato la mia cavalletta in quel posto preciso, ben sapendo che era un rituale da espletare più che un tentativo che avesse un senso perseguire. 
Brad non l’ho più rivista, persa nella profondità di quel lago. Però mi ha fatto costantemente compagnia in questi anni di arrampicate alpine. L’ho cercata in tutti gli specchi d’acqua che impreziosiscono le mie amate montagne, in una sfida fatta di fatiche e di piaceri primordiali. Di acque color del cielo, di pascoli verdissimi, di pietre e di nebbie, di tavolozze di fiori e di infiniti profumatissimi silenzi.
Tanti figli di Brad presi e rilasciati, ma anche tante salite a vuoto.
Quante volte mi son perso nei miei incrociati pensieri seduto di un masso o sull’erba ad osservare l’acqua, scannerizzandola con metodo, seguendo il penare di una cavalletta accidentalmente caduta che si dibatte e lotta per sopravvivere. Tanti sguardi e tanti interrogativi, per capire se poteva esserci vita, se poteva avere un senso aspettare o provarci.
Ma quasi mai ho avuto la percezione di poter ritrovare Brad. Anzi spesso subentrava un leggero senso di rassegnazione e malinconia, quello appunto di non poter rivivere un’emozione simile.
Poi un’uscita quasi casuale, una partenza a mezzo pomeriggio, tra i dubbi lasciati da un cielo cupo e nebbioso. Due ore di cammino con l’acqua che sembra faccia le prove generali per lo spettacolo finale. Il lago, poco famoso e poco frequentato, è avvolto dalle nubi e sembra non voglia farsi scorgere. Vedo l’acqua quando ormai sono a pochi metri e intuisco anche qualche timida bollata.
Innesto i due pezzi della canna, ho un finale grosso ma accettabile per quelle condizioni di luce, almeno è quello che mi dico, voglioso più di fare due lanci che di cercare l’approccio giusto.
Cambio la poco credibile sedge con un palmerino scuro, mi sembra tra l’altro di poterlo vedere meglio, e provo a lanciare nei pressi di dove avevo visto bollare. Nulla. Qualche altro cerchio poco lontano, qualche altro lancio, senza risultato.
Il pensiero di dover cambiare qualcosa viene spento sul nascere da una ninfata che mi toglie il respiro. Lenta, maestosa, con una pinna che come un bisturi incide precisa e silenziosa la superficie dell’acqua.
Si ripete, si muove e si ripete. Viene vicino a riva, impossibile scorgere il pesce, impensabile ipotizzare di cambiare e cercare l’imitazione giusta. L’ultimo gorgo è a un metro da riva, ad una dozzina di metri da me, al limite della visibilità.
So di avere un solo lancio e solo tre possibilità: o la spavento o la lascio indifferente o la prendo.
Il cuore va a palla...
La mosca cade in acqua delicata ma non ho il tempo di cercarla con lo sguardo, vedo un’onda e poi immediatamente il lago che esplode, l’acqua schizza sulla riva, il filo vola a perdersi nella nebbia.
La intuisco grossa, poi la vedo, è grossa davvero, in assoluto e per quel piccolo lago.
Brad mi ritorna prepotentemente in testa, anche se forse manca il riflesso giallo ed un paio di chili. Ma stavolta non è solo emozione e speranza, è lotta reale.
La prendo in mano e ne osservo la formidabile livrea, incredulo che nel libero a 2500 metri ci possano essere pesci simili. Sfilo la mosca e la riaccompagno in acqua.
Mentre la vedo allontanarsi sono invaso e pervaso dal senso vero della pesca a mosca...
Mi sento appagato e sono felice...

(continua…)


Beppe Saglia


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