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Evoluzione della mosca artificiale

22/03/10 - Sotto la lente

22/03/10 Testo e foto di Giorgio Cavatorti


LA SETA

I Romani furono i primi a portare la seta in Italia, ma potevano procurarsela solo commerciando con l’Oriente, un percorso difficile e pericoloso.
La seta era sì un grande affare, ma il suo maggiore svantaggio fu proprio che, per secoli, doveva essere importata per molte migliaia di miglia attraverso la Via della Seta.
I cinesi, infatti, conservarono il segreto della sua produzione fino al 5° secolo D.C., quando le popolazioni dell’Impero romano d’Oriente scoprirono come ottenerla.
La diffusione dell’influenza islamica nei secoli seguenti permise alle tecniche della sericoltura di diffondersi rapidamente in Occidente, raggiungendo la Spagna nel 9° secolo, la Sicilia entro il 12° secolo e l’Italia entro la metà del 13° secolo.
L’Italia non tardò a volgere a proprio profitto il vantaggio commerciale acquisito, e rimase leader nel commercio della seta per oltre 100 anni, adottando il telaio persiano ed apportandovi anche dei miglioramenti.

LE ORIGINI DELLA COSTRUZIONE DELLE MOSCHE IN INGHILTERRA
DA BARKER ALLE NINFE DI VENABLES

Una buona descrizione di come si debba costruire una mosca dopo il Treatyse di Juliana Barners, fu scritta da Thomas Barker, autore del Diletto di Barker ovvero l’arte del pescare con la mosca (1659).
Sappiamo veramente poco di Barker, a parte che era di Shrewsbury, conosceva Walton ed era un esperto costruttore di mosche artificiali. Tutti i materiali di Barker potevano essere reperiti con facilità da un contadino: seta, cera, filo di lana, filo d’oro e d’argento, piume di anatra selvatica, gallo o cappone, pavone e pavoncella, e peli di maiali, orsi, mucche e manzi.
Con l’uso dei peli per preparare i corpi delle mosche artificiali, Barker segna un’altra pietra miliare nella divergenza britannica dalla tradizione di altre nazioni europee.
Per i due secoli seguenti, i corpi di pelo sarebbero stati una caratteristica distintiva dei modelli inglesi. Questo ci avvicina ad un’altra questione interessante: quando si modernizzarono le tecniche di costruzione delle mosche, parallelamente cambiarono anche i termini usati per descriverne i metodi. Nel 15° secolo, l’espressione “dubbing” (preparare una mosca) si riferiva all’atto di legare i materiali su di un amo, o ad un amo che aveva una mosca legata su di esso.

Izaak Walton

Entro il 17° secolo, dubbing significava più spesso il procedimento con cui si attorcigliava un materiale attorno ad un filo di seta, una tecnica di base che usiamo tuttora. Questo metodo, quasi sicuramente fu inventato in Gran Bretagna, poiché i costruttori di mosche degli altri paesi europei lo usarono solo molto più tardi, ma non sappiamo però quando fu scoperto. Certo non si fa menzione dell’uso di questa tecnica prima del 17° secolo.
Detto per inciso, gli autori precedenti al 20° secolo usavano immancabilmente cera per calzolai per preparare le loro mosche, che si scurivano a tal punto che tutte le sete così trattate diventavano di una tonalità scura di marrone, indipendentemente dal loro colore di partenza. Questo costituiva un problema, al punto che c’erano innumerevoli ricette per preparare cera “morbida” che avesse il vantaggio di non colorare così tanto il filo, ma doveva essere comunque usata della cera. I motivi erano due: in primo luogo, la cera migliorava la presa dei fili piuttosto grezzi allora in uso; in secondo luogo, una preparazione compatta, come quella in peli di maiale che era di uso comune, aderiva meglio al filo cerato.

Attrezzatura da costruzione di epoca vittoriana

Il sistema costruttivo adottato da Barker era alquanto semplice. Innanzitutto, il filo veniva legato all’amo, dopo di che si formava l’addome con le ali legate in prossimità della testa, con le punte in avanti, seguite poi dai materiali per il corpo. Il nodo finale era solitamente dietro alle ali.

Costruzione

Questo sistema costruttivo è stato poi adottato in seguito all’inizio del Novecento dal grande F.M.Halford nella sua famosa serie di mosche secche prodotte dalla Hardy per svariati anni. Questa collezione di mosche, descritta all’interno dei libri di Halford, imitava maschi e femmine di molte effimere, ed era costruita usando crine di cavallo tinto in molte colorazioni rigorosamente su ami upeyed.
Barker divideva gli artefatti in due classi: i palmer, che avevano una hackle di gallo o cappone avvolta ad elica lungo l’intera lunghezza del corpo, e le mosche standard, che erano alate e senza hackle. Queste due classi di modelli dominano gli elenchi britannici fino al 19° secolo, quando i palmers persero popolarità e lo stile standard, a mosca alata, cambiò per comprendere alcuni giri di hackle attorno alla base delle ali.

Charles Cotton

Di conseguenza, il contenuto di una scatola portamosche di un pescatore a mosca britannico antico sarebbe stato ben poco familiare ai nostri occhi, in gran parte per la presenza di numerose mosche senza hackle con ali quasi verticali.
Nel suo libro Barker non metteva in lista molti modelli, per la semplice ragione che si aspettava che la gente facesse i propri.
Ovviamente un modo per scoprire cosa mangiavano i pesci era prenderne uno ed aprirlo ed il modo classico per prendere il primo pesce era attaccare un palmer indefinito ed esplorare l’acqua con questo. Al di là del fatto che autori moderni diffondano tuttora questo procedimento, quella di fare l’autopsia alle trote è un’abitudine molto antica; nel lontano 1304, in un libro sull’amministrazione delle proprietà scritte per Carlo II di Napoli un proprietario terriero bolognese consigliava di aprire i pesci per scoprire cosa avevano mangiato.
Benché Taverner avesse scritto un’accurata descrizione delle ninfe nel lontano 1600 nella sua opera che portava l’affascinante titolo “Alcuni esperimenti riguardanti il pesce e la frutta”, l’ignoranza sulle ninfe fu quasi universale fino a 150 anni fa, un errore che, come sarà chiarito in seguito, indusse i costruttori a mosca ad uno dei vicoli ciechi più lunghi della storia.
L’assenza di una nomenclatura precisa costituì una sfida costante per i primi pescatori a mosca, e il dilemma non fu risolto completamente fino al 19° secolo.
I sistemi di denominazione esistenti erano così circoscritti che spesso erano del tutto privi di utilità oltre i confini di un particolare paese, semplicemente perché spesso lo stesso insetto era conosciuto con nomi diversi.

Robert Venables

Questa mancanza di un sistema di classificazione universale fu un handicap enorme e perseguitò i pescatori per altri 150 anni, come Venables, nel suo“The experience’d Angler del 1662, dichiara nel seguente passo:
“Ma a questo punto devo premettere che è molto meglio imparare come si fa una mosca a vista piuttosto che seguendo le istruzioni scritte su un qualsivoglia foglio di carta, in quanto i termini differiscono quasi ovunque, e parecchi tipi di mosche vi sono chiamate con nomi diversi; alcuni chiamano la mosca generata dal grillo o verme d’acqua effimera, alcuni mosca della pietra ; e alcuni chiamano una mosca corta di un triste colore verde spento, con brevi ali marroni, una mosca di maggio: e io non ne vedo il motivo, ma tutte le mosche che nascono in maggio sono chiamate, a buon diritto, mosche di maggio. Perciò, a meno che qualcuno (che sia abile) non le dipinga, non posso dire i loro nomi né descriverle senza troppo incomodo e prolissità; né, come affermai, vista la varietà di suoli e corsi d’acqua, descrivere le mosche che nascono e soffermarmi su ognuna: ma il pescatore (come ho già anticipato), avendo scoperto che tipo di mosca prediligono i pesci al momento, ne faccia una il più possibile simile, in colore, forma e proporzioni; e, per una migliore imitazione, prenda ad esempio la mosca naturale che gli sta davanti”
Della vita di Robert Venables non si sa molto; nel 1630 si sposò ed ebbe otto figli.
Colonnello dell’esercito britannico partecipò a numerose spedizioni, dall’Irlanda alle indie occidentali dove si ammalò costringendolo a vita privata.

Evoluzione costruzione mosche

Come vedremo in seguito questa lacuna di mancanza di raffronto dipinto in modo corretto tra gli insetti naturali e mosche artificiali fu ben sopperita da Alfred Ronald nel 1836, con la sua splendida opera intitolata “Entomologia del pescatore a mosca”.
E’ il 17° secolo il periodo nel quale cominciamo a vedere l’uso di antenne e code sulle mosche .Ci aspettano una sorpresa o due: The Experienced Angler di Venables (1662) ha un frontespizio che include un’illustrazione delle prime mosche “reverse” mai descritte. Non è un errore del tipografo, perché il testo lo conferma:
“…se giro le piume attorno all’amo, poi taglio via quelle che sono sul retro dell’amo, così che (se possibile) la punta dell’amo sia forzata dalle piume (lasciate all’interno dell’amo) a muoversi verso l’alto, immagino che la corrente trasporterà le ali delle mosche nella posizione di una che vola…”
Se non bastasse una mosca capovolta, Venables ci regala una sorpresa ancora maggiore nel suo libro sulle mosche. Non vi è alcun riferimento a quest’arma segreta nella prima edizione del suo libro, ma nella terza scrisse quanto segue:
“Se volete, potete porre un piccolo e sottile piombino sul fusto del vostro amo, lanciate l’esca dove il fiume scorre precipitosamente e fatela lavorare nei luoghi in cui credete vi siano trote, potete fare una testa di seta nera e il corpo di cera gialla”.
Non c’è dubbio che questo sia il primo riferimento preciso a una ninfa, una larva di friganea appesantita con un piombino.

Frontespizio di Spring-tite di Yonge Akerman,Londra 1850

Non ci fu altra menzione di qualcosa vagamente simile per quasi 300 anni. Era un modello destinato a superare le limitazioni imposte dai crini di cavallo e a portare la mosca molto più in profondità delle mosche contemporanee, dove si trovavano i pesci.
Queste considerazioni, unite al fatto di essere stato fra i primi a consigliare la pesca a risalire per essere meno visibili alle trote, misero Venables in una classe a parte.


Giorgio Cavatorti


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