La pesca a mosca negli amati/odiati “reservoir”
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- Scritto da Michele Malagugini (Mala)
Word and photo Michele Malagugini (Mala)
Quando il WM chiese a noi redattori se c’era qualcuno disposto a “buttar giù” un articolo sulla pesca in “laghetto”, lì per lì mi offrii volontario, pensando che non sarebbe stato un compito difficile. Manco a dirlo, 5 minuti dopo aver dato la mia disponibilità, mi resi immediatamente conto di aver pensato male e che per poter descrivere in maniera approfondita la pesca in laghetto, avrei dovuto scrivere un libro! A volte scrivere gli articoli per PIPAM mi fa scoppiare la testa!
In effetti i tanto bistrattati laghetti, almeno secondo il mio punto di vista, non solo possono rappresentare una valida alternativa alla pesca ai salmonidi nel periodo di chiusura invernale (non fosse altro per il piacere di stare insieme con gli amici), ma altresì un serio campo di prova, dove poter concretamente ed efficacemente migliorare la propria tecnica di lancio, ed affinare (perché no?), il tanto blasonato “senso dell’acqua”. Un’esperienza in più, insomma, che vale la pensa di fare. Quest’articolo, dunque, non ha la presunzione di insegnare nulla a nessuno. Vuol’essere solo uno spunto di riflessione e, magari, l’occasione per dare qualche piccolo consiglio a tutti coloro che si stanno avvicinando per la prima volta alla “nobile arte” della pesca a mosca, o anche per i PAM più navigati ed abituali frequentatori delle acque correnti, che per un motivo o per un altro non hanno mai avuto l’occasione di pescare in un “reservoir” (che detto così fa più figo). Non parlerò, quindi, di attrezzature. Non in senso particolareggiato, almeno. Mi limiterò a raccontare due giornate di pesca, condotte nel medesimo laghetto, a distanza di circa 20 giorni l’una dall’altra, con condizioni di temperatura molto diverse tra loro. Il laghetto in questione si trova a pochi km da casa mia, in Provincia di Ferrara. Si tratta della classica “cava” di circa un paio di ettari (non piccolissima, quindi), con una forma che, vista dall’alto, potrebbe far pensare ad un “otto”, con rive in alcuni punti piuttosto alte e scoscese ed in altri più comode ed accessibili.
Per tutto il perimetro il laghetto è circondato da un fitto canneto che lo rende molto naturale, con postazioni di pesca ricavate a suon di “macete” dagli stessi frequentatori del posto.
Inoltre, come se non bastasse, ad una distanza di circa 10 metri dalle sponde vi è quasi ovunque una recinzione in rete metallica, che rappresenta il valore aggiunto ai vari ostacoli da affrontare mentre volteggeremo le nostre code ;-) L’acqua di solito è molto limpida e si intorbida solo quando piove molto. La fauna ittica è rappresentata da black bass, lucci, carpe e ciprinidi vari (scardole, alborelle, ecc.), mentre, grossomodo da metà Ottobre fino a tutto Marzo, vengono puntualmente immesse trote iridee ben pinnate, molto combattive e di ottima taglia (intorno al kilogrammo e anche più). Il regime di pesca è rigorosamente NK, aperto alle sole tecniche dello spinning e della mosca. Bene, fin qui ho voluto descrivere la “location” perché ritengo che, esattamente come si fa quando ci si reca in torrente o in fiume, anche in lago si debbano sempre ed attentamente valutare le situazioni in cui si svolgerà l’azione di pesca, compreso il tipo di esche che solitamente il pesce è più abitato a “saggiare”. Nello specifico, nessuna esca viva o siliconica. Solo “cucchiaini”, minnow, mosche secche, ninfe, streamer e compagnia cantando… Primo giorno di pesca: Siamo a fine Ottobre. La temperatura esterna è decisamente mite, circa 20 °C e quella dell’acqua, circa 15° C. Completa assenza di vento. Arrivo al lago verso le 10 del mattino, dove mi attendono tre amici, due dei quali (Stefano e Teddy) stanno pescando dal belly boat ed il terzo (Guido) dalla riva. Teddy e Stefano belly boat esplorano il centro lago
Chiedo loro come sta andando e mi rispondono che stanno prendendo “discretamente”, e che le trote sono attive in superficie. Tutti stanno pescando con piccoli streamer non piombati, recuperati lentamente a pochi centimetri di profondità. Cuna cattura di Stefano
Da una rapida osservazione dell’acqua, infatti, noto che il pesce sale spesso a bollare e, quando non bolla, salta esibendosi in acrobazie che hanno sempre il potere di accendere i desideri e le fantasie di ogni pescatore. Complice la temperatura, osservo che ci sono molti insetti che volano sul pelo dell’acqua. Sono per lo più chironomi e, mi pare, anche qualche più appetitoso dittero. Chironomi “fantasia”
In simili condizioni decido per un approccio “delicato”. Pescherò appena sotto il pelo dell’acqua, con un’imitazione che, in laghetto, mi ha sempre dato degli ottimi risultati, soprattutto quando mi è capitato di cimentarmi con iridee fresche di lancio, interessate a cibarsi di insetti anziché del solito mangime. L’imitazione in questione è la mia “lucciola” (Lucciola), montata su un amo del 12. Si tratta di una specie di “Peute”, con uno spot giallo molto ben visibile posizionato a ridosso della curvatura dell’amo. La lucciola
La considero una buona imitazione d’insieme perché riunisce in se le caratteristiche di un artificiale nato per imitare un insetto che “nuota” lentamente sotto il pelo dell’acqua e nello stesso tempo, con il suo vistoso “culetto giallo”, riesce a destare la curiosità dei pesci più smaliziati o, viceversa, assolutamente a digiuno di “esperienze di vita” che non siano quelle vissute fino all’altro ieri in una sterile vasca d’allevamento. Iridea curiosa che non ha saputo resistere al richiamo della “lucciola”
Attenzione: quando prima ho detto “insetto che nuota lentamente”, mi riferivo soprattutto al fatto che, diversamente da quanto accade in torrente o in fiume, dove i nostri avversari si solito si trovano al riparo di qualche sasso o ramo d’albero, in attesa che la corrente trascini loro in bocca il cibo, in qualsiasi bacino chiuso i pesci si muovono in continuazione. Più o meno lentamente, più o meno svogliatamente, ma sono sempre in movimento! Questo significa, ad esempio, che una mosca secca lasciata la in mezzo allo specchio d’acqua, avrà qualche chance di essere presa in considerazione solo nel caso in cui venga prima o poi a trovarsi nella traiettoria di qualche trota. E tanto più il pesce sarà apatico, quanto più saranno scarse le probabilità di cattura, anche utilizzando l’imitazione più azzeccata. La prima regola da imparare quando si pesca in laghetto, quindi, ritengo sia la seguente: se vogliamo catturare qualcosa e divertirci, il pesce dobbiamo andarcelo a cercare. Che non significa necessariamente camminare lungo le sponde, bensì cercare inteso anche sui diversi strati dell’acqua (in superficie, sotto il pelo, a mezz’acqua, sul fondo) piuttosto che lungo le rive. In esplorazione lungo le rive
Ecco un’altra cosa cui bisogna sempre prestare attenzione quando ci si approccia per le prime volte a questo tipo di pesca o ad un qualsiasi nuovo laghetto: osservare le rive, la loro conformazione e l’eventuale presenza di ostacoli che possano fungere da nascondiglio. Ad esempio, se si tratta della classica cava perfettamente rettangolare, con rive pulite in maniera “asettica” e senza vegetazione in acqua che possa fungere da riparo ai pesci piuttosto che alle loro prede naturali, in assenza di qualsiasi segno di attività che possa diversamente orientare la nostra azione di pesca, dovremmo innanzi tutto concentrarci verso le sponde sottovento e gli angoli. Le sponde sottovento, infatti, almeno in linea teorica dovrebbero dare qualche chance in più, perché è proprio lì che il cibo avrà la naturale tendenza a raggrupparsi. Gli angoli, invece, oltre a rappresentare anch’essi un punto di raccolta del cibo, permettono di battere al meglio due diversi sottosponda, oltre alla possibilità di lanciare più al largo. Guido mentre “spazzola” per bene un angolo
Insomma, negli ambienti “sterili”, dovremo cercare in tutti i modi di scovare i pochi indizi e le poche situazioni favorevoli alla presenza del pesce, per non ridurre la nostra azione di pesca ad un noiosissimo “lanciare in mezzo e recuperare a casaccio”. Ma torniamo alla nostra prima giornata di pesca. Dicevo che ho cominciato a pescare utilizzando una lucciola (ma avrei potuto usare benissimo anche un’emergente in cul de canar, uno spiderino o un chironomo), Come canna, considerando che il laghetto in questione ha sponde ricche di ostacoli e le rive sono scoscese, ho utilizzato una 9 piedi per coda 6, mentre come coda una decentrata galleggiante “long belly” del 5 ed un finale di circa 5 metri. Scelta dettata dall’esigenza di dover lanciare lungo (in doppia, ma anche in froller nei rari punti in cui la pulizia delle rive me lo ha consentito) nei momenti in cui l’attività del pesce si concentrava più verso il centro del lago, ma nello stesso tempo di essere veloce e delicato nelle pose dei miei artificiali. E naturalmente, oltre alla canna, non dimentichiamo mai il guadino! Vi aiuterà a recuperare più in fretta le vostre prede, senza sottoporle ad inutili stress. L’utilità del guadino
L’azione di pesca si è svolta in modo piuttosto dinamico: camminando lungo le sponde, cercavo di individuare ogni possibile segno di attività, dopodiché mi accingevo a lanciare. Immediatamente dopo la posa, lasciavo per qualche decina di secondo l’esca immobile sulla superficie dell’acqua, dopodiché con un secco e deciso colpo di vetta, facevo in modo che la mia lucciola affondasse sotto il pelo dell’acqua. A quel punto aveva inizio un lentissimo recupero (a matassina), intervallato da piccole ed irregolari pause. Il contatto diretto con l’esca, dato dalla totale distensione del finale e della coda a partire dalla vetta della canna, mi permettevano di percepire ogni più delicata “tocca” del pesce, anche quando la sua presenza non si manifestava vistosamente in superficie. Operando in questo modo le catture non sono mancate e questo fino a circa mezzogiorno.
Dopo una breve pausa pranzo la ripresa delle attività di pesca ci ha riservato una situazione completamente diversa. L’attività di superficie era decisamente calata, mentre un discreto venticello increspava la superficie dell’acqua per metà del lago. A questo punto, mentre gli amici in belly hanno potuto continuare con successo a perlustrare in lungo ed il largo il lago, Guido ed il sottoscritto hanno dovuto scegliere di portarsi pian piano sulla riva sottovento. Dopo alcuni infruttuosi e poco convinti tentativi con la lucciola, complice l’assoluta inattività di superficie (dei pesci ma anche degli insetti), ho sostituito la mia imitazione con un leggero e vistoso streamer arancione. Questa volta la mia azione si è concentrata anche, per non dire soprattutto, lungo le rive o a pochi metri da esse. Naturalmente il maggior peso dell’esca rispetto allo streamer e il differente impiego dell’attrezzatura ha richiesto alcuni accorgimenti sul finale, che ho opportunamente accorciato di oltre un buon metro e mezzo, e al quale ho sostituito il tip in nylon del 16 con un più resistente 20 in fluorocarbon. Quando utilizzo lo streamer in lago, di solito per animarlo tengo la canna sotto l’ascella destra, ed utilizzo entrambe le mani per recuperare più o meno velocemente la coda e, dunque, l’artificiale. In caso di abboccata, anziché sollevare la canna, mi limito a trazionare la coda. Questa modalità di ferrata, in caso di “liscio”, consente di mantenere l’esca sempre davanti dal muso del pesce, il quale, se non è stato punto dall’amo, potrebbe abboccare una seconda volta. Viceversa sollevando la canna verso l’alto, quasi sempre l’artificiale viene allontanato di molto dal campo visivo pesce rendendo vana ogni ulteriore speranza d’abbocco. Quella prima sessione di pesca al lago finì che, grazie al piccolo streamer arancione, riuscii ad agganciare e portare a riva ancora diverse belle trote. La prima iridea vittima dello streamer arancio
Personalmente credo che i motivi per cui quel giorno le trote modificarono radicalmente il loro comportamento, passando nell’arco di poche da un’intensa attività di superficie, all’inabissamento a ridosso delle rive, siano stati due: il primo, sicuramente il vento, che ha interrotto di fatto l’attività degli insetti sul pelo dell’acqua e, di conseguenza, quella delle trote. Il secondo, gli amici con il belly, i quali, per quanto grande fosse il lago, dopo averlo esplorato più e più volte al centro, hanno contribuito involontariamente a far migrare il pesce verso riva. Di solito nei laghetti capita il contrario. La presenza di molti pescatori sulle rive (e nessun pescatore in barca o belly), pian piano comporta il concentramento del pesce a centro lago, rendendo necessario non solo l’utilizzo di attrezzi concepiti per lanciare lunghissimo, ma anche una discreta tecnica di lancio. Ed ecco, quindi, che il dover far di necessità virtù, ci metterà nelle condizioni di migliorare la nostra tecnica di lancio o, se non altro, di renderci conto dei nostri limiti, grazie al confronto diretto con la realtà dei fatti e magari anche con il compagno di pesca che ci sta a fianco, il quale, inspiegabilmente, riesce a posare il proprio artificiale sempre due metri davanti a noi *8( Secondo giorno di pesca: Sono trascorsi 20 giorni esatti dalla prima uscita. E’ Mercoledì, giorno di lavoro, ma oggi ho la fortuna di essere a casa per la festività del Santo Patrono della mia città. Il lago, è praticamente deserto. C’è solo un ragazzo con una canna da spinning, dalla parte opposta rispetto al punto in cui mi trovo io. Stavolta il lago è tutto mio *8)
La scorsa notte la temperatura dell’aria è calata bruscamente e questa mattina, a differenza della volta precedente, ci sono solo 10 gradi. L’acqua, invece, si mantiene sempre sui 15°, ma il suo aspetto è decisamente cambiato: oggi è “quasi torbida”. Come se non bastasse, non faccio in tempo a prepararmi che comincia a soffiare un “venticello” freddo, che mi costringerà a rimanere per tutto il giorno a riparo degli argini più alti del lago e, per forza di cose, sulla sponda “teoricamente” meno produttiva: quella sopravento. L’attività del pesce è, almeno in apparenza, praticamente uguale a “zero”. “Parto proprio bene”, penso. “Non si vede un salto, c’è un sacco di vento, l’acqua è torbida….Quasi, quasi torno a casa e mi metto bello comodo sul divano davanti ad un buon libro. Ma chi me l’ha fatto fare, oggi, di venire a pescare!” In condizioni del genere, spesso l’unica cosa da fare è sfruttare il vento al meglio, per lanciare lunghissimo. La doppia trazione non è il vostro forte e non volete combattere tutto il giorno con l’aggrovigliarsi del finale a causa dell’oggettiva impossibilità di distendere bene la coda alle vostre spalle per colpa del vento? Vorrà dire che vi affiderete a dei semplici roller, che potranno via via trasformarsi in “froller”, grazie ad un buon allenamento e la complicità di attrezzature adeguate (canne di lunghezza intorno ai 10 piedi e code WF long belly) e, potendo, i preziosi suggerimenti di qualche amico più esperto.
Tornando a noi, quel giorno non fu fruttuoso come la volta precedente. Non mancarono però le catture. Lasciando perdere fin da subito l’impiego di artificiali che imitassero piccoli insetti, optai inizialmente per un piccolo streamer nero, con il quale catturai immediatamente una bella trota a ridosso di un canneto nell’immediato sottoriva, dopodiché tutto tacque. Piccolo streamer nero
Anche provando e riprovando a “battere” diverse profondità dell’acqua, con recuperi più o meno lenti, non ebbi nessun attacco per almeno un’ora. E poiché la stessa sorte stava capitando anche all’altro pescatore a spinning, mi venne il sospetto che la poca collaborazione del pesce potesse essere legata, oltre che alle mutate condizioni meteo e dell’acqua, anche al sopraggiunto periodo di frega delle trote. Questo pensiero mi indusse a cambiare radicalmente approccio in pesca, per cui sostituii lo streamer con un classico ovetto in ciniglia di colore rosa, che legai ad un tip del 16 in fluorocarbon. Inoltre, tra coda e finale (di 3 metri) interposi uno polyleader di 10 piedi a lentissimo grado di affondamento, per fare in modo di pescare lentamente i vari strati dell’acqua, senza dover necessariamente lanciare e rilanciare, ma preoccupandomi unicamente di mantenere l’inero sistema “coda – poly – finale – esca” ben in tensione, e percepire così ogni più piccola tocca. Ovetto… benedetto!
Fu in questo modo che dopo nemmeno 10 minuti riuscii a catturare la mia seconda trota della giornata, alla quale ne seguirono altre 4, prima dell’abbandono per “raggiunti limiti di sopportazione del vento”. Iridea vittima dell’ovetto
Insomma, anche la seconda giornata di pesca si risolse grazie alla perseveranza ma, soprattutto, all’osservazione del luogo e a semplicissimi ragionamenti logici, a testimonianza del fatto che neppure la tanto snobbata pesca in laghetto, che tanti definiscono “pesca facilitata”, così scontata come potrebbe sembrare, proprio non è. Il mio invito, quindi, è quello di provarci. Lasciar perdere falsi pregiudizi e provare quest’esperienza dei “reservoir”, con la spensieratezza di un ragazzino o di un novizio PAM avido di esperienza. Ammappate se tirano ‘ste trote!
Anche se non posso assicurarvi che trascorrerete a giornata fantastica, senz’altro sono in grado di garantirvi che non sarà per nulla scontata. E che se sarete onesti con voi stessi, alla fine dovrete ammettere che la pesca in laghetto… tutto sommato non è così male come credevate *8) Arrivederci a tutti! E arrivederci anche a te ;-) Michele Malagugini (Mala)
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