USA - Into the big sky country
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- Scritto da Sandro Mandrini (The Midge)
Agosto 2012
(Cronaca di un viaggio familiare con canne da pesca al seguito)
Word and Photo di Sandro “The Midge” Mandrini 1°parte: tempo di lettura 20 minuti Foto di famiglia Arrivare a 42 anni, dopo dieci anni di convivenza e due figli, e decidersi di sposarsi è già una bella impresa; se poi ci si fissa anche sull’idea di organizzare, approfittando dell’occasione e della benevolenza di amici e parenti, un viaggio di nozze con tutta la famiglia, cioè anche i due pargoli, la questione si complica ulteriormente. Si deve tener conto, nel scegliere la meta, non solo dei gusti e delle preferenze della moglie, ma anche di quelle dei due “nani”, sia come bambini che come soggetti in se. Il sottoscritto poi deve abilmente cercare di far passare anche le sue esigenze alieutiche; senza dare troppo nell’occhio, naturalmente, per non urtare la spiccata sensibilità femminile e i diritti dell’infanzia. Tutto ciò premesso le possibili mete dovevano escludere luoghi troppo lontani (Nuova Zelanda o Isole del Pacifico), poco “sicuri” (Amazzonia, Belize) o non adatti a una vacanza di famiglia, con neonato (safari africani, tour fai da te di Cuba, del Messico o del Guatemala ). Bisogna poi dire che mia figlia Irene, la più grande, non è proprio amante dell’acqua, diciamo piuttosto che la sopporta … quindi sarebbe stata una meta “sprecata” qualsiasi paradiso tropicale con acque cristalline, barriere coralline e … tanti, tanti bonefish (come le Bahamas, le Seyschelles o la Nuova Caledonia …) Non restava che puntare su mete “d’acqua dolce” e quindi, escludendo la Patagonia, visto che sarebbe stato un viaggio estivo, rimanevano pochi luoghi complessivamente interessanti, ovvero non troppo spudoratamente alieutici e abbastanza fuori dall’ordinario da giustificare l’impresa. Insomma, per capirci, non mi sarei accontentato di andare per la quarta volta in Scandinavia. Così, lentamente, si è fatta largo tra le varie possibilità, l’idea di un viaggio negli Stati Uniti d’America. Lontani ma non troppo, naturali, turistici ma anche selvaggi al punto giusto, “diversi”, ma non troppo e con l’imbarazzo della scelta sulle possibili mete interne. Quale decisione più sensata di quella di affidarsi a un vero esperto per essere consigliati e indirizzati nella scelta della meta e nella costruzione dell’itinerario e di un viaggio “ritagliato” sulle specifiche esigenze della famiglia? Non restava che chiamare Claudio Tagini dell’American Western Adventures ed esporgli la questione. Fargli presente la “complicata” situazione familiare e fidarsi della sua esperienza e del fatto che “è uno di noi” e sa come rendere sufficientemente turistico uno spudorato viaggio di pesca. Detto fatto il viaggio prende forma e la scelta si orienta su un itinerario di tre settimane che si snoda in un anello che parte da Salt Lake City e ci ritorna dopo aver attraversato Idaho, Montana, Wyoming e, ovviamente, Utah. Claudio è un vero professionista, di quelli che non si incontrano facilmente, lo anima una passione non comune per il suo lavoro che trasuda da ogni sua indicazione. Il viaggio è organizzato nei minimi dettagli e prende la forma di una dispensa personalizzata, stampata a colori, in cui si narra con l’ausilio di foto e cartine tutto l’itinerario da percorrere. C’è un itinerario di base con molteplici e diverse varianti e alternative da scegliere di volta in volta a seconda del tempo, del clima, della voglia e delle possibilità. Contiene inoltre indicazioni preziose su dove fermarsi a mangiare, dove fare la spesa, dove fare benzina, cosa comprare e cosa non comprare. Insomma verremo accompagnati giorno dopo giorno da una narrazione esperta e discreta, mai impositiva e sempre sensata. Interstate #20 Il viaggio
Devo dire che siamo partiti non senza qualche apprensione per un viaggio aereo così lungo (12 ore in tutto) con due bambini così piccoli. L’espressione di stupore mista ad ammirazione della hostess che ci ha fatto il check-in a Parigi non ha certo contribuito a tranquillizzarci. Alla nostra risposta negativa in merito al possesso di apparecchi elettronici, video-games o altra roba del genere, la signorina, che incredula ci aveva ripetuto la domanda anche in francese per sgombrare ogni dubbio, ci ha risposto con un laconico “auguri!”. I due pargoli infatti si sono avviati verso i loro posti a sedere muniti solo di un mazzo di pastelli, fogli, un paio di libri e qualche gioco di legno. È bastato un rapido sguardo agli altri marmocchi seduti in cabina per capire cosa intendeva la hostess: non ce n’era uno privo di I-pad, I-pod, smart- phone, tablet, PSP e altri arnesi elettronici. Il viaggio aereo è stato comunque un buon viaggio, in cui i figli sono stati ammirevoli e sufficientemente adeguati al contesto. Non hanno nemmeno rotto più di tanto le scatole agli altri passeggeri, ricevendo anche parecchi apprezzamenti sulla loro tranquillità e adeguatezza. Giunti a Salt Lake City e sbrigate le pratiche dell’immigrazione, ritiriamo il grande SUV GMC prenotato con largo anticipo via internet dall’Italia. Ancora una volta devo ringraziare la lungimiranza di Claudio che ci aveva consigliato di affittare una macchina grossa, magari con doti da fuoristrada. Mai scelta fu più azzeccata, permettendoci di andare davvero dappertutto, sterrati compresi senza problemi di sorta. Certo, ci ho messo quasi cinque giorni a capire il funzionamento di tutti gli optional, scoprire come aprire il tappo del serbatoio, la regolazione dei sedili e altre cose del genere, ma vi assicuro che guidare un Suv americano full optional, è un’esperienza unica e andrebbe fatta almeno una volta nella vita. Nel bagagliaio ci stava tutto, compresa la canna da pesca montata! I bimbi avevano spazio per giocare a baseball nei sedili dietro e io potevo seguire l’indicatore del carburante nel serbatoio che scendeva a vista d’occhio … per fortuna la benzina in USA costa talmente poco che non è un problema fare il pieno ogni due giorni! Eccoci dunque catapultati un po’ rintronati dal jet lag, su di una highway americana … e se pensavamo di avere tra le mani una macchina grossa, ci siamo immediatamente dovuti ricredere quando ad un semaforo ci affianca un pick –up le cui ruote arrivano all’altezza del mio finestrino! La meta è un motel a un paio d’ore da SLC direzione nord nei pressi di Malad City. Uno di quei motel che si vedono nei telefilm americani e dove di solito si rifugiano i rapinatori di banche per spartirsi il malloppo. La prima sensazione, seguita da molte altre lungo tutto il viaggio, è proprio quella di trovarsi in un film e per noi, cresciuti nel mito del sogno americano, vi assicuro è stata una grande emozione. Io, che in America ci ero già stato a quindici anni, ne ho avuto la conferma; ma per Roberta, mia moglie, è stata un’autentica scoperta. Hai la sensazione di esserci già stato, di aver già visto certe cose, di conoscere, in un certo senso la situazione, pur non avendola mai vissuta prima. È come stare dentro al set di un telefilm… Il motel non è nulla di speciale, ma ha due buone qualità: ci permette di riposare ed essere in forma per domani e ha vicino un autentico ristorante della provincia americana: “Me & Lou’s” che, se ce ne fosse bisogno, accresce in noi l’eccitazione e la sensazione di essere delle comparse di un telefilm. L’ambiente ricorda molto il bar di Happy Days, il gestore è un incrocio tra il papà Cunningam e il Capitano Koenig di spazio 1999, gli avventori valgono il viaggio solo a vederli. Mangiamo in tre quello che loro consumano da soli! Prime Ribs (costata), patatine fritte, insalata e una zuppetta tipo pasta e fagioli. Dopo cena sprofondiamo in un provvidenziale sonno ristoratore, senza avere nemmeno il tempo di contare le pecore, o meglio i cavalli selvaggi! American breakfast La mattina torniamo a fare colazione da “Me & Lou’s” in compagnia di due coppie di Bikers, discendenti diretti dei cow –boy: hanno solo sostituito il cavallo con l’Harley Davidson. Mangiamo pancake, uova strapazzate con bacon e apple pie con gelato. Mia moglie e mia figlia Irene cominciano ad accusare l’overdose di zuccheri e sono già, da buone salutiste, un po’ nauseate. Io e il piccolo Pietro invece ce la godiamo alla grande! Il viaggio riprende verso nord con l’obiettivo di raggiungere la cabin a Big Springs. Abbiamo optato per un ritmo di viaggio lento e rilassato, che tenga conto della ridotta autonomia dei piccoli (e della moglie!) con viaggi in auto che si aggirano, al massimo attorno alle 4 ore, negli spostamenti da una base all’altra, mentre per le “gite” quotidiane abbiamo l’imbarazzo della scelta con tutta una serie di mete nel raggio di un’ora o due dalla base. Questo primo spostamento ci porterà dritti dritti nella “mecca” della pesca a mosca americana. Avremo attorno a noi fiumi come l’Henry’s Fork, il Buffalo River ad un tiro di schioppo e molti altri fiumi, laghi e torrenti poco più distanti. Strada vicino a Pocatello Lungo la strada ci fermiamo a Pocatello, un puntino sulla mappa, con l’intenzione di visitare il museo della locale riserva indiana delle tribù Shoshone-Bannok. Giunti al museo completiamo la visita in un quarto d’ora , ma scopriamo che si sta svolgendo, proprio in quei giorni, l’annuale festival delle tribù indiane che occupa un’area poco distante da li e ha la forma di una fiera di paese… ovviamente in salsa e dimensioni americane! Un’area di almeno 3 km quadrati in cui oltre a una parte adibita a campeggio con veri Tepee indiani, ci sono bancarelle di artigianato della riserva e prodotti locali, un campo da baseball in cui si sta svolgendo un torneo tra nazioni indiane, e una immensa struttura circolare fissa al cui interno si svolgono delle rappresentazioni con canti e balli in costume. L’occasione è ghiotta e decidiamo di “perdere la giornata” visitando la festa e mischiandoci con i locali. Siamo praticamente gli unici “visi pallidi” presenti e suscitiamo parecchia curiosità ed amichevole interesse per il fatto di essere arrivati li, dall’Italia in quel posto sperduto per visitare una manifestazione così particolare … Chi, come noi, è cresciuto a pane e Tex non può farsi sfuggire un’occasione simile di stare dentro al proprio mondo immaginario, vedere dei veri indiani da vicino, non di quelli messi lì ad arte dalla pro-loco, ma autentici nativi americani: grossi, grassi, un po’ trasandati e brilli che giocano a baseball, o fieri ed austeri in abiti tradizionali che cantano e ballano nella Tenda del Sole. Scambio qualche battuta con un tizio che vende acquarelli e che ha la figlia della stessa età della mia, incuriosito dal fatto che, Irene abbia dei tratti vagamente indiani; mi chiede da dove veniamo e come abbiamo fatto a capitare li, mi racconta come sia dura vivere nella riserva senza buttarsi via: droga, alcool e depressione sono i pericoli più grossi anche per loro… non è molto diverso anche da noi… ma certo loro sono molto più fragili e rischiano di perdere la memoria delle loro origini. Nella riserva, mi dice, ci si divide tra indiani che difendono caparbiamente e anche un po’ integralisticamente le tradizioni, e indiani che tentano inutilmente la strada dell’integrazione al prezzo di una perdita delle proprie usanze e tradizioni. D’altra parte, lo stile di vita americano è molto diverso, troppo diverso da quello indiano: è quasi impossibile tenerli assieme … Ci fermiamo poi nella cittadina di Idaho Falls, per fare provviste e per completare l’equipaggiamento (borsa termica, ghiaccio ed altre piccole cose di utilizzo quotidiano per una vita errante e all’aria aperta). Il grande centro commerciale Wal Mart ci introduce nella “logica” americana, sia per quanto riguarda i gusti, che per le dimensioni e le quantità delle confezioni. Arriviamo a Big Springs solo alle nove di sera non senza qualche difficoltà ad individuare la strada sterrata che porta alla nostra cabin diramandosi dalla Interstate #20. Cabin La casa è bellissima, perfettamente centrata nel nostro immaginario da “una casa nella prateria” e “alla conquista del west”. È un’accogliente cabin tutta in legno con cucina bagno camera da letto e soppalco con altri due letti, camino, mega-televisore e immancabile barbecue. Ci affidiamo al sonno ristoratore. Domani è un altro giorno! Suv La mattina seguente comincia la vacanza, per davvero, ora dobbiamo solo prendere il ritmo giusto e scegliere tra i tanti itinerari e mete proposte dal nostro “libro di viaggio”. Claudio Tagini è maniacale nella precisione e nell’accuratezza delle descrizioni dei percorsi, delle mete turistiche e non, dei punti importanti per effettuare le spese, i rifornimenti o anche solamente per fare colazione o cenare. Il programma da oggi e per i prossimi venti giorni, sarà un mix di mete naturalistiche, itinerari storico-culturali e relax. Ovviamente ci sono in programma almeno un’uscita di pesca ogni due giorni, a seconda delle situazioni potrebbe trattarsi di un coup de soir in totale solitudine, una pescata all’alba e fino alle 11 di mattina per poi andare in gita con tutta la famiglia o di qualche ora, di pesca, magari in compagnia di mia figlia, sfruttando qualche meta alieutica che ben si presta anche ad una gita familiare. A grandi linee, dopo aver passato qualche giorno nei dintorni dell’Henry’s Fork, ci trasferiremo in Montana sul Madison per poi entrare nello Yellowstone National Park che percorreremo in lungo e in largo per cinque giorni scendendo poi a Jackson Hole per un’altra tappa di quattro giorni e ritornare a Salt Lake City. Abbiamo visto di tutto, in questo viaggio non ci siamo fatti mancare quasi nulla di quello che era alla portata della “formazione famigliare”: Zoo safari innanzitutto, per cominciare a prendere le misure sugli animali a breve distanza, soprattutto per vedere gli orsi da vicino, visto che con il caldo che ha caratterizzato questa estate 2012, sarebbe stato davvero difficile pensare di incrociarne qualcuno in libertà. Bear World Orso bruno Abbiamo visto cascate spettacolari , ci siamo “bagnati ” alle Big Springs (una delle molte sorgenti dello Snake River) e passeggiato nella foresta del Box Canyon dell’Henry’s Fork. Abbiamo poi visitato la città fantasma di Nevada City. Un vero e proprio salto nel passato, che solo in America è possibile fare, con tanto di “comparse” che ti offrono il caffè con i pancake cotti sulla stufa di una volta. La città fantasma di Nevada City Abbiamo passeggiato nella dolce Ennis, la città con la più alta concentrazione di negozi di pesca che abbia mai visto e nemmeno un telefono pubblico! La città di Ennis Abbiamo potuto ammirare una quantità impressionante di animali selvatici: dagli onnipresenti cervi, scoiattoli e bisonti; alle antilopi, aquile a anche i più schivi e rari lupi, lontre, castori, alci, coyote, pellicani e molti altri. Abbiamo ammirato lo spettacolo della natura delle caldere di Yellowstone, con i suoi geiser, le sue sorgenti fumanti le pozze di fango bollente e le montagne di zolfo, l’impressionante canyon dello Yellowstone River e le distese di foreste e i paesaggi mozzafiato. Tutto estremamente affascinante e coinvolgente, nonostante la presenza un po’ ingombrante di una massa di turisti imbarazzante (dicono che a Yellowstone passino 3 milioni di turisti all’anno) e, pur cercando di stare fuori dalle rotte più battute, c’erano mete imperdibili che inevitabilmente ci rigettavano in una specie di baraccone abbastanza commerciale e pacchiano che aveva comunque il suo fascino. Old Faithfull Geiser Mammouth hot Springs Opale Pool Ci siamo immersi nella cultura del west, partecipando il più possibile alla vita che avevamo attorno, non a quella “per i turisti” ma a quella della gente normale. I FIUMI E LA PESCA
Buffalo river Buffalo river Buffalo river Henry’s Fork In realtà il fiume è un braccio dello Snake River, ma viene comunemente chiamato così il tratto di diverse decine di chilometri che nasce in parte dalle Big Springs (è obbligatoria una visita a queste sorgenti per ammirare come, direttamente dall’erba, in poche decine di metri quadri, si genera un grande fiume), in parte dall’Henry’s Lake, forma ed esce da un altro lago (Island Park Reservoir) per poi rilassarsi e scorrere nelle grandi pianure dello Utah. Henry’s Fork Henry’s Fork Rainbow Trout dell’Henry’s Fork Il fiume è qualcosa di spettacolare: con un’acqua cristallina, una vegetazione acquatica rigogliosa e tanti ambienti e zone di pesca assai differenti tra loro. Si passa dal fiume largo e con acqua mossa alle rapide del Box Canyon, alla straniante magnificenza dell’immenso chalk stream che diventa dalle parti della “no man’s land” e nella zona detta “The Ranch”. Più a valle il fiume scava ancora un altro imponente canyon con delle magnifiche cascate e con acque veloci e spumeggianti. Se non lo si vedesse non si crederebbe che un solo fiume possa essere cosi diverso nel giro di, tutto sommato, poche miglia. Discesa del fiume al Tramonto La zona che più mi ha affascinato è stata sicuramente quella con la conformazione di grande risorgiva. Ho pescato per ben due volte, dalle 5 alle 9 di sera, la zona del “Ranch” e della “No Man’s Land” dopo essere stato vivamente sconsigliato sia da Claudio che dalle guide del vicinissimo Shop “Trouthunter”, del famoso Renè Harrop (una visitina merita sicuramente, come anche una cena nell’adiacente Steak House). Guide in relax al Trouthunter L’interno del Ristorante Immaginatevi un letto largo una cinquantina di metri, con il fondo uniforme completamente ricoperto di piante acquatiche e l’acqua alta sempre un metro o poco più. La pesca in wading potendo attraversare pressoché ovunque il fiume spostandosi da una sponda all’altra come in un acquario. La corrente, pur se sostenuta, non crea grossi problemi di stabilità … qualche problema in più lo da il dragaggio delle mosche... Sicuramente un colpo d’occhio affascinante e eccitante, soprattutto dopo aver letto molto sulle grosse trote che popolano queste acque, ed avendo ben chiare in mente le favolose catture di Harrop. Bene, comincio a pescare e i problemi arrivano immediatamente: l’ assenza dei benché minimi punti di riferimento a cui siamo abituati da bravi pescatori di “fiumetti” italiani rende l’approccio al fiume abbastanza complicato. Se ci aggiungiamo una temperatura dell’aria che era più vicina ai 40 gradi che ai trenta alle sei di sera e la totale assenza di schiuse il quadro deprimente è completo. Ora, io non sono uno che si siede sulla sponda del fiume a piangere … soprattutto avendo poche possibilità di ritornarci a breve e non avendo molto tempo da sprecare in lamentele con il Principale. Monto dunque una piccola Cripple sul 18 e comincio a sondare i giri d’acqua che qualche sasso sommerso, o qualche ciuffo di ranuncoli più folto degli altri genera nella desolante, liquida, immensa prateria sommersa. Con l’occhio vigile presto attenzione a tutti i movimenti atipici della superficie dell’acqua e finalmente comincio a scorgere qualche timida bollata, qua e la, senza una logica e senza una regola. La mosca funziona e ad ogni occasione corrisponde una trota, tutte bellocce, sui 40cm., niente male anche se sono costretto a rivedere le mie aspettative di una pesca “easy”, con terrestrial grossi come pulmini e trote indiavolate. La pesca è molto tecnica, finali lunghi anche 13 piedi e tippet sottili fino allo 0,12 ma così facendo qualche bel pesce lo si prende e qualcuno (sempre i più grossi) lo si perde. Alla fine delle due serate direi che se c’è un posto dove tornerei volentieri, magari con più tempo e meno caldo, è proprio questo dannatissimo tratto dell’Henry’s Fork. Gli altri tratti, in particolare il Box Canyon, sono decisamente più impegnativi da raggiungere, poiché, zaino in spalla, si deve mettere in conto una bella mezza giornata di pesca-trekking, ma l’acqua più ossigenata e mossa rendono le trote sicuramente più collaborative anche su mosche da caccia, terrestrial e sedge fatte pattinare nei pressi delle rive boscose. Box Canyon Madison Completamente diverso, come conformazione, dall’Henry’s Fork, il Madison River arriva da lontano e va lontano. È il risultato della fusione del Firehole River e del Gibbon River all’interno del parco di Yellowstone e va a formare, assieme al Gallatin River e al Gefferson River il Missouri River nei pressi di Three Forks City, appunto. Madison River Dan in pesca ( la 2° parte "dell'avventura" nella prossima pubblicazione ) Sandro Mandrini (The Midge)
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