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ITA - Dal Tigullio con furore ...

Italia 10/08/2004 


Emozioni dal Salt Water nostrano, e consigli utili su come…non cominciare!

Se il buongiorno si vede dal mattino, quel mattino prometteva bene. Argo, fisico minuto ma voce roca da marinaio massiccio, che sicuramente non ha disdegnato le osterie di porto grevi di fumo e di vita, ci accoglie sereno, nonostante la mezz’ora di ritardo. Il mare è olio. I delfini accarezzano l’aria con grazia. Io, pur giovane di mare, faccio gli onori di casa. E’ da quando siamo partiti che, con fare vissuto, dispenso consigli creando aspettative. Alberto, compagno di sempre, ascolta racconti recitati ad arte, anche se ormai in saldo. Per Francesco è una prima assoluta.

Usciamo piano, godendoci la temperatura mite e l’umida salsedine di una giornata coperta. I pochi gabbiani volano bassi, o stazionano fermi in acqua.
Il tempo di spiegare come un’ increspatura anomala del mare o come qualsiasi dettaglio che muova la statica simmetria del nostro cono visivo può rivelarsi un elemento fondamentale per scovare i pesci, che Francesco esclama:
“Come quella là, laggiù?”
Potenza degli occhi di un ventenne. E’ una mangianza. E' grossa.
La parola mangianza, come sempre accade, scatena scariche adrenaliniche intense. Quel mattino ha scatenato anche il panico a bordo.

Parto a manetta e a momenti me li perdo entrambi in acqua. Mentre mi avvicino stento a credere ai miei oggi, tanto il ribollire dell’acqua è esteso e permanente.
La tensione sale a livelli di guardia.
Sono fasi concitate. La coda di Alberto che, sfilata velocemente a frizione aperta, si imparrucca. La mosca di Francesco che al primo falso lancio si incaglia nel fascio di canne, troppe, inutili, portate in barca per coprire ogni situazione, ed ora ree di mandare a monte la prima grossa opportunità del giorno.
Io sbraito, concitato e sfottente. Non mi dò pace che con una mangianza simile non si sia riusciti a posare un artificiale in acqua.

Per fortuna la giornata è stata benedetta dagli dei. Per un paio d’ore il mare si è trasformato in un’enorme arena dove, ora qui, ora la, si combattevano partite mortali.
Solo i gabbiani, di solito suggello supremo allo spettacolo, sono latitanti.
In poche occasioni hanno recitato il loro ruolo storico (per noi PAM SW, mica per gli zoologi), ossia quello di fari alla guida delle mangianze.
Più spesso dove predavano i gabbiani, ma predazione è una parola troppo forte per quel giorno, diciamo piuttosto uno svogliato piluccamento fine pasto, latitavano i tonnetti, e viceversa.

Di sicuro non mancavano le prede. Banchi di acciughe che si componevano e si disperdevano, ora piano, ora veloci, sino a formare palle fitte, vere macchie scure nel blu infinito.
E quel moto circolare, sempre più veloce e più ossessivo, nascosto dietro chissà quale mistero darwiniano, per fronteggiare l’arrivo del nemico, di chi sai che ti darà panico o morte.

Poi la palla comincia a luccicare di bianchi riflessi. E’ il segno della percezione diretta del pericolo.
Dopo, subito dopo, è solo più caos. Violento ed impazzito. L’estrema difesa della vita contro la furia cieca della predazione. L’acqua esplode in gorghi e guizzi.
Le acciughe cercano salvezza schizzando fuori dal loro elemento vitale, le sagome azzurre ed argentate dei predatori si avventano, lame scintillanti, in quello tremendo ribollio.
Scene primordiali, dovute alla disparità delle forze in campo, che turbano e contestualmente appagano.
Assistervi vale da solo la giornata rubata al lavoro o alla famiglia.

Finalmente questa volta riusciamo a mettere una coda in acqua, al posto giusto, al momento giusto. E’ di Francesco il primo strike. Sua quell’espressione un po’ Contiana di chi ha sempre avuto in canna trote e temoli nostrani ed ora incredulo vede la coda schizzare, la frizione gracchiare, sente il backing bruciargli le dita.
Ma il ragazzo è sveglio e se lo giostra bene. Qualche minuto di lotta, il tempo di rendersi conto di aver dimenticato in auto il guadino, ed il primo tombarello, bello sodo, due chili abbondanti, è in barca.

Sapersela cavare con il lancio è una condizione indispensabile in barca. Non importa essere eleganti, o precisi. Conta essere efficaci. Cioè posare nel minor tempo possibile la mosca (?) nei pressi della mangianza, possibilmente anticipandone la direzione. Considerando che la barca rolla, che spesso c’è vento, che si cambia direzione costantemente, che c’è un altro che sta lanciando a due metri da noi, in preda come noi alla frenesia totale, che a volte c’è uno che guida, e meno male sennò le cose si complicano ancora di più, che ci sono centinaia di marchingegni dal volante alla leva del gas, alla bandierina segnavento, alle chiusure dei pozzetti, ai paracolpi, tutti diabolicamente studiati da progettisti perversi per favorire, nei momenti di massima tensione, incagli mostruosi della coda, ecco considerando tutto questo, essere efficaci è più facile a dirsi che a farsi.

Un inciso sulle mosche e sugli ami. Nella mia limitata esperienza ho notato che è prioritario azzeccare la taglia rispetto al colore, alla struttura (rigida/morbida),alla trasparenza ed alla luminescenza.
Se si riesce a lanciarle con facilità, due mosche “is meglio che uan”, stimolano di più, e accade pure a volte, di fare doppietta.
Come ami mi trovo benissimo, oltre che con i classici e costosi Owner, con i circle della Gamakatzu.
Non si rischia il pronto soccorso in caso di aggancio occasionale, non occorre ferrare, e non si perde un pesce. Ottimi tra l’altro se si pratica il catch and release.

Tornando alle nostre vicissitudini, siamo riusciti finalmente a sverginare anche Alberto. Con lui si erano già divise alcune uscite in Tigullio infruttuose, ed un viaggio in Ebro da dimenticare. Il passo ad identificarlo come portasfiga era prossimo. Invece… prima un lanzardo beccato a trainetta nell’unica ora senza segni di attività, con un artificiale di dimensioni simili alla preda, poi un rosso, ai limiti della misura, e una bella serie di tombarelli, ne hanno fatto a sera il pescatore più felice che mi sia capitato di vedere, anche perché, da buon affarista, dopo aver investito con scelte non sempre azzeccate, qualche migliaio di euro in attrezzature marine varie, ha visto in sol giorno abbattersi di oltre la metà rispetto al previsto, il costo unitario del tonno sott’olio di sua produzione, attestatosi ora a circa 10 volte il prezzo dell’oro.

Quando si imbattono certe giornate fortunate sarebbe il caso di capitalizzare meglio le occasioni che la sorte offre. Noi abbiamo fatto di tutto invece per evitare il bacio della dea bendata. Cominciando col portarci in barca ogni sorta di accessorio inutile, manco dovessimo attraversare l’oceano. Borsoni enormi e scivolosissimi, canne e tubi in eccesso, apparecchiature fotografiche da grande report, tutte cose a rischio, e tutte cose che ti ritrovi tra le code nel momento sbagliato.
Anche i tonnetti non erano collaborativi. Ad ogni doppio strike, mai che fuggissero ordinatamente in direzioni opposte lontano dalla barca. No, incuriositi da tanto dilettantismo, preferivano venire a farsi due risate vicino, incentivando incroci paurosi di code e di canne, sopra e sotto la barca, ricevendone spesso una meritata libertà, anche questa per manifesta inferiorità più che per volontà.

Due regole sono fondamentali.
1) Non prestare la tua prima canna a Francesco. La riavrai indietro 5 minuti dopo insieme all’angelica domanda: “Sai dove è finito il finale”? Toh dici, eppure ieri sera ho controllato, era tutto in ordine, poi capisci immediatamente perché trenta secondi prima hai tentato per dieci volte inutilmente di far ripartire la barca, e realizzi mestamente che oltre al finale ed alle mosche tra le eliche del motore se ne andata anche una buona metà della tua intermedia appena comprata.
2) Non prestare la tua seconda canna ad Alberto. Stavolta ti arriva intonsa, ma tu non ti sei accorto che nel duello con l’ultimo tombarello invece di stringere la frizione come presumeva di fare, ti ha completamente allentato il chiudi-bobina dalla parte opposta. Ovviamente al tuo turno, insieme con il tonno, parte anche la bobina, smaniosa di farsi un giro tra i fondali davanti Portofino.

Una faticaccia recuperare a mano i 400 metri di costosissimo backing appena caricato, una certezza quello di vederlo irrimediabilmente matassarsi in un groviglio inestricabile mentre ne tenti il recupero.
Unica soddisfazione, non aver perso cmq il pesce…
Inconvenienti del gioco e peccati di gioventù.
Resta, col sapore di mare sulla pelle, il ricordo di una giornata piena, di quelle che hai bisogno della sera per raccontarle e della notte per rivedertele.
Regalare emozioni e sensazioni oltre il lecito.
In questo sta la forza del mare.

Beppe Saglia


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