1.Genesi
Guardai attraverso il vetro della cabina telefonica. C’era bassa marea e la spiaggia appariva immensa, sconfinata. Qui a Cape Cod non mi ero ancora abituato a quello spettacolo e nemmeno all’odore di quel mare, così forte e particolare, probabilmente dovuto alle immense basse maree capaci di regalarti anche un chilometro e mezzo di spiaggia in breve tempo. Quando la voce che proveniva dalla cornetta del telefono mi chiese duecentocinquanta dollari per tre ore di pesca, pensai che ci dovesse essere un errore! Me lo feci ripetere altre tre volte e poi chiesi alla guida un paio di ore per pensarci su.
In seguito installai col burbero Bob Mc Adams un ottimo GFE, ossia un “Guide Friend Experience”, termine in uso per la valutazione delle guide, che va da uno a dieci. Purtroppo Bob era anche un preciso “Clockwatcher”, nel senso che all’ora stabilita mi costrinse a smontare la canna e tornammo indietro, non senza avere catturato un buon numero di stripers. La cosa che più mi rimase impressa di Bob fu la sua scatola portamosche per gli stripers. Ricolma di clouser gialli, e solo quelli. Me ne regalò tre o quattro, che usai con successo quando andai da solo a pescare gli stripers.
Una volta tornato in Italia mi dedicai allo studio e alla pesca. Lo stesso anno feci un’uscita in ciambella nel lago di Annone. Qualche boccalone mi fece il piacere di salire sul popper, ma tutta roba piccola. Poi, più per scherzo che per altro, montai uno dei clouserini gialli di Bob.
Un lancio, due strippate e…porc… una botta veloce e qualcosa che non è un bass cercava furiosamente di liberarsi dallo streamer. Caspiterina!…un luccio…ehm…un luccetto di circa trentacinque centimetri!!!!!! Il mio primo luccio e la consolazione che in fondo i duecentocinquanta dollari dati a Bob rendevano ancora! Otto anni dopo, per l’ennesima volta l’amico Alfio mi parlò di lucci con la mosca. Finalmente organizzammo un’uscita sul lago. Un po’come oggi, tre anni fa di info sulla pesca a mosca del luccio non ce ne erano molte. Io, mi portai dietro le scatole da streamer e poi anche quella mosca fatta appositamente per pescare il luccio in Unec, quel luccio che in prossimità della confluenza dell’Unec con il “Piccolo”, mi aveva scippato una bellissima imitazione di mayfly che a sua volta si trovava in bocca ad un bel temolo. Ovviamente i miei tentativi di acciuffare quel luccio finirono nel nulla. Quel giorno, insieme ad Alfio, mi presentai con quell’artificiale già montato. Più avanti riprenderò questo argomento. Per il momento eccomi a lanciare a pochi metri di distanza un artificiale lungo venti e passa centimetri, pesante e tutt’altro che aerodinamico. Uno strattone fu tutto quello che percepii. Poi la coda si afflosciò e capii di avere perso un luccio. Continuai a pescare, ma nulla. Ad un certo punto, proprio davanti ad Alfio si formò una sorta di gorgo immenso, come solo si vedono nei cartoni animati di Sampei! Doveva essere qualcosa di grosso, anzi, di immenso. Sentivo che sbagliavo qualcosa, che lo streamer si lanciava a fatica e che non lavorava come avrebbe dovuto. Aprii la scatola delle mosche da mare e vidi…il famoso clouserino giallo. Memore del primo luccio della mia vita, lo montai e iniziai a lanciare. Fu circa al quinto lancio che si fermò il mondo. L’attacco del luccio fu violento e io rimasi a bocca aperta quando mi accorsi di avere attaccato quello che consideravo un mostro, un pesce dalle dimensioni fuori dal comune per chi pesca a mosca in Italia, qualcosa di vero, di selvaggio e anche cattivo, temuto da tutti gli altri pesci del lago. Quel giorno, oltre a primo grosso luccio, catturai un ulteriore “mostro” e due altri lucci sui cinquanta centimetri. Dopo una simile giornata ero oramai contagiato ed iniziai a studiare il luccio ed il suo comportamento. Acquistai la “Bibbia” della pesca a mosca al luccio, ovvero “Pike on the Fly” di Barry Reynolds ed ebbi modo di scambiare impressioni ed esperienze con quelli che, oltre ad essere due miei amici, sono a mio avviso i massimi esperti italiani di pesca a mosca al luccio: Paolo Pacchiarini e Mauro Borselli. Ringrazio entrambi, e ovviamente anche Aflio, perché se ho la possibilità di scrivere questo dossier, lo devo anche a loro. In ogni modo questo fu l’inizio della mia avventura con il nostro amico esocide. Nel prossimo capitolo “Identikit dell’Esocide”, cercheremo di conoscere meglio il “pike”.
|