Roberto Messori
- Dettagli
- Categoria principale: Fly Fishing Magazine
- Categoria: Interviste
- Scritto da Valerio Santagostino (BALBOA)
Le INTERVISTE di PIPAM
di Valerio BALBOA Santagostino
ROBERTO MESSORI
Roberto Messori, classe ‘49, è l’editore della rivista Fly Line. Vive a Modena con la moglie Mirella e sua figlia Carlotta. Pittore, pilota di volo libero, attualmente si dedica all’archeologia sperimentale ed al tiro con armi preistoriche: arco e propulsore. A Formigine c’è un piccolo campo di tiro con l’arco dove si allena. Una volta all’anno, invece, parte con Carlotta per Darfo Boario, dove si svolge un vero e proprio campionato europeo. In Val Camonica hanno un archeopark molto attrezzato, con bersagli a sagome di animali e stage di tecnologie preistoriche.
Si usano punte di selce, tendini, punte in corno, piume… e si tira alle prede (finte) a distanze tra i 10 e i 30 metri, compresa la pesca con l’arco (fuori gara) alle carpe del laghetto; c’è quindi molta attinenza con la pesca a mosca. Ma la cosa che più gli sta a cuore è che in questa sua passione ha coinvolto, con successo, anche la piccola Carlotta. A proposito, Carlotta detiene il secondo e terzo posto nel tiro rispettivamente con propulsore ed arco preistorico, Roberto… il 12°. Carlotta in gara al Campionato Europeo di armi preistoriche, Archeopark di Darfo Boario, 2010. Arriverà terza nell’arco e seconda nel tiro col propulsore.
V: Ciao Roberto, allora… quando hai iniziato la tua carriera di editore e per quale motivo?
R: Ero appassionato di pesca alla mosca da tanti anni, dal 74 per la precisione. Incidentalmente (ben prima di concepire Fly Line, che sarebbe uscita poi nell’85…) aiutavo un amico, il giornalista e pilota Enzo Boschi, a redigere una rivista di volo col deltaplano. Lo praticavo anch’io; a quei tempi era davvero pionieristico. C’era un grande entusiasmo. Messori in decollo invernale dal monte Calvanella nel massiccio del Cimone, Gennaio 1980. In quel periodo vivevo “come artista”, con i miei dipinti che esponevo in mostre personali. In seguito ho conosciuto Mirella e sentii il bisogno di un’entrata economica più sicura e soprattutto costante. Il mio amico Baffo (Enzo aveva due immensi baffoni) lavorava due settimane ogni due mesi per edire L’Aquilone, così pensai di realizzare una rivista di pesca a mosca. Ho sbagliato in pieno i conti però: le due settimane ogni due mesi si sono trasformati subito in… due mesi ogni due mesi. I lettori Pam non erano i lettori del volo libero. Addio carriera artistica. Solo di tanto in tanto riesco ad organizzarmi per realizzare qualche sporadico dipinto. Non so se fu la scelta giusta, ma certo la decisi io. O, forse, la pesca a mosca. Dipinto di Roberto Messori, olio su tela cm 100 x 120 con scorcio del torrente Ospitale, 2009. V: Scusa se ti faccio questa domanda, ma dalle tue pagine leggo spesso delle critiche ingenerose nei confronti dei Pam di oggi, sulle nostre riserve, sui pesci che catturiamo, sulle tecniche e le attrezzature, etc… un mondo al quale comunque appartieni e che, in definitiva, ti dà lavoro.
R: Il meccanismo commerciale ci deve essere ed è importante per la rivista. Ne sono consapevole. Non siamo nella preistoria, e non voglio neanche che si torni a pescare come si pescava secoli fa. Ma non vorrei che l’esasperazione commerciale distrugga quello che è invece l’aspetto passionale, culturale e tradizionale della Pam. Per non parlare dell’ambiente, che dovrebbe essere quanto più possibile naturale per esercitare un atavismo. V: Atavismo?
R: Un atavismo, perché non considero la pesca a mosca come uno sport. La pesca a mosca non è una tecnica difficile, è una tecnica di pesca “diversa”. Diversa perchè in tutte le altre tecniche occorre lanciare in distanza grazie a un movimento di rotazione della canna, rilasciando poi il filo in un punto della tangente. Un peso applicato lungo la lenza fornirà l’inerzia per portare l’esca lontano. Le nostre esche invece pesano pochi milligrammi, e ovviamente non possiamo piombare la lenza. Il nostro sistema quindi ripartisce il peso lungo tutta la lenza in modo uniforme. Questo costringe il pescatore a modificare la tecnica di lancio, perché l’anellino di punta che traina la lenza non deve compiere una rotazione, bensì un movimento rettilineo. Solo così è possibile realizzare il famoso volteggio avanti e indietro: è questa la fondamentale ed inalienabile caratteristica della pesca a mosca. Nel momento in cui si utilizzano mosche artificiali talmente appesantite da impedire il volteggio, a mio avviso è improprio continuare a definirla “pesca a mosca”. La caratteristica della Pam è il volteggio, e su questo non ci piove. Che una ninfa con pallina in tungsteno di alcuni grammi a tre metri di profondità sia efficace sono d’accordo, ma è una deformazione della Pam, per quanto redditizia. L’ho fatto anch’io in casi di emergenza, so bene di cosa si tratta. All’origine la pesca a mosca è nata perché gli uomini, millenni fa, vedevano i pesci prendere insetti in superficie. I pesci si mostravano, diventavano catturabili. Gli antichi, non avendo i mulinelli da lancio e i filati di oggi, ma crini, tendini o fibre vegetali da intrecciare, potevano giusto pescare “a mosca”, perché quelle lenze erano, così consistenti, “volteggiabili”. Solo da pochi decenni e con i mulinelli a bobina fissa o comunque da lancio, si riesce a lanciare a diverse decine di metri. Quando il volteggio diventa impossibile e si pesca, con la canna da mosca, a pochi metri tramite un ribaltamento della lenza, è più opportuno chiamarla pesca al tocco, pur riconoscendone l’efficacia. Ripeto che l’ho fatto anch’io in certe situazioni di acque. Ninfe pesanti, finali adattati, roller... Ma mai con code 2-3 e canne da 11 piedi. Bensì con canne del 9 e coda 8 galleggiante. Un neofita arriva a un club e oggi si sente insegnare che la pesca a ninfa prevede esche piombatissime, canna di 11 piedi, coda # 2-3… Questa non è pesca a ninfa, ma una sua estremizzazione che, in certe situazioni, per fortuna molto rare, può anche risolvere un probabile cappotto. La vera pesca a ninfa per il Pam è tutt’altra cosa. V: Roberto, però con attrezzature simili, dopo una giornata in acqua, il braccio non lo senti più… e le ninfe pesanti si usano solamente in certi casi. Tendenzialmente si cerca di scendere usando nylon più sottili e soprattutto montando due ninfette…
R: Ok, te lo concedo, ma c’è un’alternativa. Le shooting taper ad affondamento rapido dell’ 8-9-10, da usare con ninfe appena appesantite, come per lo streamer. Con attrezzature simili occorre saper lanciare: una buona tecnica di lancio consente di pescare tutto il giorno senza affaticarsi in modo fastidioso. Riccardi pescava così in Ticino quando andava a marmorate montando ninfe anziché streamer, e ovunque pescasse a ninfa in profondità a distanze importanti. Oltre alla tecnica di lancio occorre una percezione della deriva e dell’esca molto sviluppata. Il tutto sta se si vuole una pesca evoluta o una pesca di comodo. Siamo sempre lì, il moderno Pam vuole sapere tutto subito e soprattutto catturare sempre. Steelhead dell’Umpqua. Pesca difficilissima: canna 9’ coda WF 8 galleggiante e streamer da 2 a 4 grammi. Si lancia a roller con trazioni velocissime; siamo nel… circa vent’anni fa e parolacce come froller e switch non esistevano, i lanci sì.
V: Riccardi però era un campione di lancio e un professionista della Pam, gli era tutto più congeniale. I pescatori a mosca sono nella stragrande maggioranza dei comuni padri di famiglia che rubacchiano tempo al lavoro e ai propri cari per qualche oretta di svago.
Scusa Roberto, ma cerco di difendere un po’ anche i pescatori di oggi. R: Lo capisco benissimo, infatti non li sto criticando, invece cerco di informarli correttamente su possibilità più evolute e soddisfacenti, anche perché un tempo scrivevano personaggi come Riccardi, oggi scrivono tutti e l’informazione vera si perde. Tornando al discorso di prima, questo si esprime al giorno d’oggi con la pesca nei laghetti, nelle cave, fuori stagione… si pesca 365 giorni l’anno. Va tutto bene: girano quattrini, tecnica, abbigliamento, code, canne, mosche... Attualmente siamo davanti a una rivoluzione economica epocale, una crisi globale che spaventa e spinge a inventare di tutto per procacciare una vendita in più e questa pressione si avverte. Il “vecchio” Pam era più in armonia con l’ambiente naturale e i suoi sfarfallamenti, usava il refendu, la seta e realizzava mosche stupende. Poi c’era il riposo stagionale, vissuto come un vero rituale. La Pam era (ed è) una tecnica affascinante soprattutto per le mosche. Oggi si usano mosche con fibre artificiali, colle epossidiche, foam, membrane plastiche... Esistono in commercio kit con le ali già sagomate e dipinte. Sono perfette, per modellini di insetti che poco hanno a che fare con le mosche da pesca. Questo ti evita di cercare nei libri le imitazioni di quel fiume, di reperire certi materiali, di documentarti insomma. L’ambiente è parimenti falsificato, si sopperisce al degrado non rinaturalizzandolo, ma con semine di pesce artificiale. Di conseguenza si va nelle cave, con gli amici, mentre i commercianti ti vendono questo e quest’altro, e nei tratti da salmonidi aperti anche d’inverno. Noi “vecchi Pam” viviamo un disagio consapevole, i nuovi un disagio inconscio. Ai giovani puoi giusto raccontare come è stata bella e raffinata la Pam di un tempo, com’è bella una mosca fatta con materiali naturali. Oggi anziché piume per imitare insetti usi plastica preformata per imitare degli standard proposti da questo o quel giornalista improvvisato o per seguire delle mode. Ti viene tolta consapevolezza, è un peccato! Eagle river in Labrador, cattura incidentale di una brooks mentre pescavo salmoni. V: Continuiamo su come è cambiata la pesca a mosca rispetto ai tuoi tempi
R: Intanto occorre partire da un presupposto. La Pam non è, nell’evoluzione tecnologica, come la caccia. Mi spiego. La caccia prima delle armi da fuoco aveva un raggio d’azione molto limitato. Una trentina di metri era (ed è) una distanza limite per una freccia. Il cacciatore doveva portarsi ad almeno 20 o 25 metri dalla preda per colpirla con buona efficacia in zone vitali. Le moderne carabine di precisione permettono di sparare a 200 o 300 metri con un’elevata possibilità di uccidere la preda al primo colpo anche se non perfetto (l’onda d’urto di un proiettile supersonico devasta un cervo anche con una ferita superficiale, poiché si propaga nel sistema linfatico). Nella pesca a mosca la più moderna attrezzatura e tecnica non ha aumentato il suo raggio d’azione se non di pochi metri. Dal legno alla grafite perdi solo qualche metro, e questo solo le prime volte. La grafite rende le cose un po’ più facili, ma se ti abitui al bambù, dopo poche uscite non sentirai nessuna differenza. Nella pesca a mosca la tecnologia non ha aumentato la portata di 10 volte come nella caccia: la distanza di pesca è rimasta al palo! V: Vai pure avanti
R: L’essere umano vuole faticare e sforzarsi sempre di meno. Come davanti alla televisione. Si usa il telecomando… V: Scusa Roberto, faccio una piccola battuta. Menomale che hanno inventato il telecomando, perché 40 anni fa, in casa mia, si faceva la lotta (ndr: quattro fratelli) per non alzarsi con il rischio di perdere il posto privilegiato sul divano
R: … oggi, ma domani, e c’è già chi lo fa, non si dovranno neppure pigiare quei terribili tasti digitali per cambiare canale: basterà la viva voce. Sarà tragico per chi, in famiglia, si beccherà una faringite. Comunque si cerca sempre di alleggerire l’impegno fisico e psichico. Se uno mostra questa tendenza in eccesso non dovrebbe andare a pesca, se giocasse a scacchi farebbe meglio. Per pescare si vuole camminare poco e arrivare il più possibile vicini con l’automobile, d’estate si vuole sudare poco, cambiare la mosca è uno stress, il finale poi… e così via. Oggi poi ci sono i materiali ultra speciali per tutto. Prendi l’abbigliamento, io non sono convinto che queste fibre abbiano soppiantato del tutto lana, seta, lino e cotone. La tecnologia ce le propone ma io non credo a tutti questi vantaggi: la differenza tra micro clima corporeo tra ieri e oggi è molto modesta. Nel 2010 ho sciato 6 giorni con abbigliamento tradizionale (quello tecnico lo dimenticai a casa) e non ho sentito questa grande differenza. I maglioni di lana per la sera in albergo e in passeggio si sono rivelati straordinari sui campi di sci, una volta dosati in modo corretto. I pile e le super magliette intime in poliestere da allora non li ho più utilizzate. E puzzano di più… Cutthroat Usa, curiosamente non ricordo il fiume, fu un mese di pesca itinerante con folli trasferimenti da capogiro, vera “fishing on the road”.
V: Come vedi la pesca a mosca in Italia?
R: Premetto: molte cose sono cambiate dal ‘75 ad ora, da quando iniziai a frequentare i primi pescatori a mosca. Allora v’erano i club di Milano, Torino e Firenze noti, e il Fly Casting di Reggio, dove feci le prime conoscenze. Non c’era quasi nulla da leggere in italiano, poi arrivarono i club, i meeting... La mentalità diffusa a quel tempo nel mondo della pesca generica era che la Pam era difficile, costosa e d’elite. I pochi eletti erano contenti di questo. Nessuno di noi “pochi eletti” lo ammetteva, ci si affannava a ripetere che non era così, ma ti assicuro che ciascuno in cuor suo fruiva di un senso di superiorità (alieutica) tecnica ed intellettuale. C’erano anche pochi testi, quasi tutti in lingua originale, non c’era Internet e i Dvd. Ricordo che nel ‘75, durante i primi viaggi in Jugoslavia, i locali pescavano a mosca con attrezzature incredibilmente spartane. Lì non era una pesca d’elite, ma l’unica tecnica concessa dalle leggi per pescare in acque da salmonidi. Questo faceva riflettere (almeno per chi si poneva il problema) sul nostro presunto snobismo. V: Ma ce n’erano di riserve turistiche come oggi?
R: Perbacco, sempre esistite. Anzi, ti dirò, ce n’erano parecchie. Servivano per accontentare i turisti estivi. Non erano i moderni no-kill, ma pescavi con tutte le tecniche, escluse le esche non ammesse in acque da salmonidi. Per i Pam dell’epoca pescare in riserve turistiche era aberrante: una vera vergogna. Oggi la maggior parte dei tratti no kill meglio gestiti sono gestiti peggio delle riserve turistiche d’allora. Nelle acque da salmonidi in genere la quota giornaliera di capi trattenibili ti consentiva anche 10 pezzi a uscita e con 16 o 18 cm di misura minima! Mi ricordo di lotte estreme con la Fips e gli amministratori, perché volevano alzare la quota e diminuire la misura. In Slovenia si spendevano 7000 lire, con stipendi (nostrani) da impiegato di 140-160.000 lire. Era una quota altissima, ma se rapportata ai giorni nostri, non è cambiata di tanto (70€ con stipendio da 1400€…). Potevi trattenere tre salmonidi, con misure sensibilmente più elevate di quelle italiche. Non trovavi gli slavi a pescare per piacere, pescavano per mangiare. Si recavano sul fiume dopo il lavoro solo in certi punti ben precisi (dove si immettevano iridee). Noi evitavamo quei tratti. Questa è curiosa ed emblematica: ricordo che a Reggio l’Unpem organizzò un corso per istruttori. Riccardi era il direttore della scuola di lancio e avrebbe dovuto insegnare a questi come e cosa trasmettere agli allievi dei vari club. Io stavo sulle gradinate della palestra, stavo infatti preparando il n. 1 di Fly Line e dietro a me c’erano due milanesi… V: E te pareva…che rompi cogl.. sti milanesi
R: … due milanesi con abbigliamento “importante”; cappelli a larghe tese, foulard... Gesticolavano e parlavano a voce alta scandalizzati perché Mario insegnava come impostare il volteggio. Dicevano che al Fly Angling di Milano si doveva pescare almeno due anni a mosca sommersa prima di far volteggiare una coda! Che dire? Era un aspetto quasi esoterico della mosca. Cosa diranno oggi, che s’insegna subito la doppia trazione con coda due e magari, a fine corso, anche froller e switch cast? V: In parte “quasi” li scuso Roberto. Quando negli anni ‘70 giocavo a tennis, c’era una sola impugnatura. I primi ragazzini a Pievepelago che usavano le due mani, erano visti come dei marziani. Oggigiorno c’è un’impugnatura per ogni colpo.
R: Hai ragione, pensa a Dick Fosbury quando vinse le Olimpiadi nel 68 con il suo famoso stile dorsale che prese poi il suo nome. Allora c’era un pensiero, non mio, che gironzolava nei club, ma più che nei club era caratteristico dei pescatori più affermati: e cioè che i nuovi Pam erano ex-bigattinari. Per la verità non capivo neppure che intendessero veramente. Anch’io provenivo dalla pesca generica, passata compresa (con bigattini), come quasi tutti d’altronde: chi non ha mai innescato un bigattino? Però comincio a capirlo oggi. Quei Pam cos’erano allora, presuntuosi o veggenti? Poi oggi la pesca a mosca è in flessione. La leva giovane è assente, non sono granché interessati, preferiscono altre cose. I corsi Pam di 20 anni fa erano gremiti di allievi. C’è stata pure una caduta della pesca a mosca. Ti sembrano essercene tanti perchè viaggiano a gruppi, pescano in… branco, tutto il contrario di un tempo. Io con la rivista le noto queste cose: gli appassionati non aumentano, c’è un certo ricambio, questo sì, ma perché tanti smettono: la famiglia, il lavoro, l’età, le spese… Ma il problema più grave è certamente l’ambiente. L’ambiente è in caduta libera. Se eviti i no kill e le riserve turistiche, che comunque oggi hanno una discreta qualità di pesce con una buona capacità di rinselvatichirsi, perché è materiale allevato appositamente (un tempo proveniva da allevamenti per l’alimentazione e con gli scarti si ripopolava…), il resto è totalmente abbandonato, privo di ogni controllo e aperto a ogni abuso: bracconaggio, captazioni, centraline, escavazioni, campi gara selvaggi e chi più ne ha più ne metta. E’ tutto in balìa di coloro che fanno affari distruggendo. Personalmente andavo a rigenerarmi in ruscelletti del mio Appennino, ma ultimamente non ci vado più: sono sempre più degradati da sindaci e assessori senza testa (o peggio) e affaristi senza scrupoli. Gente senza scrupoli morali e ambientali che arriva a minacciare chi difende l’ambiente. Ti faccio un esempio: il Panaro e la Secchia, i due fiumi di Modena, sono due fogne a cielo aperto. Devastati, pericolosi, privi di vita alieutica, ma pieni di sfruttatori e cave di ghiaia, e nessuno fa nulla. Da bambino ci facevo il bagno e ci pescavo, pensa un po’, a 20 minuti di bicicletta dalla città. Messori nel rio Tagliole nei primi anni ’70. V: Perché negli anni 50-60-70, anni famosi per scaricare tutto nei fiumi, anni delle grandi concerie e tintorie, della mancanza di leggi in materia di depurazione, etc, di pesci ce n’erano e pure tanti? Vedi il Ticino…
R: In Ticino probabilmente non ce ne andavano cosi tanto di veleni… nel Lambro invece. Il fiume di schiuma… Io stesso comunque non so risponderti. Alcuni ricercatori hanno azzardato ipotesi: sembra che le polveri sottili, i fitofarmaci agricoli, i solfati, i medicinali nelle fogne e che i depuratori non riescono a eliminare, siano alla base del depauperamento idrico. Il calo di pescosità comunque è dovuto a un mix di cause. La cosa è talmente generalizzata da far presumere una sorta di decadimento dell’intero ambiente, poi ci metti la totale latitanza di una politica ambientale e la diffusione di pratiche distruttive nella gestione del rapporto fiume/ambiente. In Lombardia comunque le falde sono tornate a riempirsi, ai tempi dell’industrializzazione selvaggia si erano abbassate parecchio. Che tempi quando uscirono le lambrette e le prime auto, tutti andavano in giro e quasi tutti a pescare in fiumi ricchi di pesce. C’era tanta acqua e tanto pesce, leggi il libro di Albertarelli “L’amo e la lenza”, non è un libro di pesca, ma di storia alieutica dell’ultimo mezzo secolo. Puoi scaricarlo da Internet. V: Grazie per la segnalazione.
La Fips seminava? R: Si ma prendevi trotelle di 5-7 cm, e ne prendevi 30-40 a volta! Non era semina quella, era inquinamento. Il calo di pescosità certamente è dovuto a un mix di cause. Oltre a quelle ipotizzate una delle principali è sicuramente la mancanza cronica di controllo. E anche quando c’è, esiste un bracconaggio endemico. Ti faccio un esempio: qui da me, nel Perticara, si fanno ogni anno decine di verbali con denuncia ai carabinieri, eppure è un’acqua privata iper-protetta da guardiapesca professionisti e ben presenti, eppure… Figurati nelle acque libere. V: Questa purtroppo è la nostra genetica italiota, becera, invidiosa e incapace di rispettare le leggi e i divieti. Se penso al peso di una batteria da camion, da trasportare di notte sui sassi, per prendere quattro trotelle, che al supermercato (e pure salmonate) costano 3, 5 euro al chilo… E’ il gusto dello sfregio, il dispetto gratuito, per farsi belli al bar…
Cosa pensi del lancio, altro aspetto della Pam che so ami molto? R: Soprattutto mi piace il volteggio estremo, fatto con timing perfetto. Consente di tenere in aria 23-24 mt di lenza senza trazioni. Ma è un esercizio impensabile per i normali pescatori, e poi non sono neanche distanze da pesca. Mi piace vedere il loop procedere stretto e veloce davanti e dietro. Fa effetto, ma la tecnica corretta è poco conosciuta. Il corpo umano si muove per rotazioni circolari: il braccio attorno alla spalla, le spalle attorno al busto, l’intero corpo attorno alle gambe, è una lotta adattare e correggere questi movimenti di rotazione col fine di far percorrere all’anellino di punta un movimento rettilineo. Molti anni fa, quando scrivevo di lancio tecnico e ponevo le basi per diffondere la conoscenza delle competizioni di lancio, mi allenavo con canne potenti ed ero in gran sintonia con la doppia trazione, con coda 6 i 33/34 metri di distanza in doppia trazione erano normali, con la 8 sfioravo i 40, con la T 40 ho superato a più riprese i 50 metri. Addirittura ricordo un 30 metri abbondanti con una coda del 3 (canna 9’ x coda 9!). Ovviamente era una bizzarra curiosità. Esibizione di lancio tecnico nel 1990 circa, al tempo della divulgazione della tecnica di lancio con attrezzature pesanti.
Poi smisi per un’epicondilite che mi stava rovinando anche il tennis e che tuttora mi crea qualche fastidio, se eccedo. Per anni pescai quasi esclusivamente con delle shooting taper 8, 9 e 10 super affondanti con streamer o grosse nife. Non so se avevo l’abilità di oggi nel volteggio puro, probabilmente no. Oggi se lancio senza trazioni a 27/30 metri (volteggio + shoot) in funzione dell’azione della canna lo devo a quel tipo di allenamento, mentre la mia prestazione in doppia trazione è decaduta al punto da aggiungere solo pochissimi metri, che il più delle volte non cadono neppure stesi. Dimostrazione e divulgazione della tecnica di lancio in doppia trazione in vari club. V: Il lancio per te è importante per catturare?
R: In situazioni rare, e forse neppure. Da 35 anni pesco con Enzo Bortolani, nei fiumi è un caterpiller instancabile e ti posso assicurare che non c’è una corrente o buchetta che trascuri, ma non ha mai evoluto il lancio, non ci tiene. Abbiamo pescato centinaia di volte insieme e nonostante la sua tecnica pura di lancio sia inferiore alla mia, non si sono mai verificate tra di noi differenze di catture. C’erano giorni più o meno fortunati per ciascuno di noi, ma il risultato alla fine era uguale: non è mai stato il lancio a fare la differenza. Negli ultimi anni, dove abbiamo diradato le uscite, lui continua la sua foga predatoria, e cattura più di me. Ammetto che ultimamente mi fermo spesso a fare foto e magari insisto a secca anche se capisco che la sommersa renderebbe di più. V: Le scuole di lancio allora…?
R: Io inviterei tutti questi istruttori blasonati ad andare a pescare con Enzo, ed osservare i risultati. Un altro della vecchia guardia è Franco Ferrari. Tra l’altro costruisce delle bellissime canne in bambù, ma è soprattutto bravo a pescare. Uno di quelli che in torrente striscia sui gomiti e sulle ginocchia per avvicinare il pesce. Il moderno Pam crede che si debba entrare in acqua, entrare fino alle ascelle e pescare così, in semi-immersione. Poi ti dicono che quel fiume è finito perché hanno preso solo trotelle ridicole. Per forza, quelle belle si allontanano prima di essere a tiro: l’onda d’urto del pescatore le fa scappare… V: I garisti però strisciano come delle pantere…
R: Il garista di regola è un gran bravo pescatore, indipendentemente dalle motivazioni. Anch’io per decenni avevo l’ambizione di prendere di più degli altri. Non ho e non avrei mai fatto garismo, ma lungo i fiumi procedevo con la bava alla bocca, tanta era la foga di catturare. Il mio obiettivo non è mai stato il numero dei pesci, ma il singolo trofeo, cercavo sempre una bella preda. V: Rimpiangi qualche articolista?
R: C’è stata una selezione, non da parte mia s’intende, s’evoluta da sola. Ho ad oggi dei collaborati estremamente preparati. Un articolista che mi piacerebbe proporre di nuovo tra le firme di Fly Line è Massimo Gabba, che scrisse di itinerari fai da te vissuti con naturalismo ed avventura estremi, non tanto per i rischi, ma per le sensazioni che cercava. Mi ricorda un po’ Marco Sportelli, uno capace di stare in tenda per giorni e giorni pur di pescare da solo. Credo che solo così si attivino certe sensazioni primordiali quanto straordinarie. V: Un piccolo inciso… Marco (amico di Pipam anche) e Franco Fumolo, li leggo sempre volentieri sulla tua rivista.
R: Roberto Alsino mi è dispiaciuto perderlo, specie per come se n’è andato, una tragedia imprevedibile, scriveva di realtà tecniche assai interessanti nei suoi viaggi esotici. Anche Nino Andruccioli, un Pam davvero originale, era molto preparato. Un altro è Dino Roversi, pescava frequentemente in acque austriache e conosceva un’infinità di itinerari, è il mio compagno di tennis, anzi era: ora è troppo preso dal lavoro e, come me, pesca davvero troppo poco. Un altro è Massimo Magliocco con Gian Luca Mascitti, ma loro hanno adesso la loro rivista on-line e la scuola di pesca. V: Qual è la pesca che preferisci?
R: Bambù e mosca secca in torrente, la mia preferita. V: Il pesce preferito?
R: Ho preso di tutto: dai dorados in Argentina agli squali in California, dalle trote del lago Argentino ai tarpon cubani. Argentina: cattura di dorados nel Corrientes, affluente del Paranà, 1992. Dai jack, ai barracuda e bonefish, da stancarmi (anzi, mi sono proprio stancato). I salmoni atlantici e tanti altri, in particolare i salmonidi di tutto l’Ovest americano, per non citare lucci e brooks del Labrador, ma il mio pesce, la mia preda preferita è sicuramente la trota fario in torrente. Cutthroat catturata nello Yellowstone river, Agosto 2004. L’iridea, anche nei fiumi Usa, non riesco proprio a farmela piacere, deve essere un fatto personale, non c’è niente da fare. La trota più grossa è stata una marmorata sul Tolminka, molto grossa, agganciata con una ninfetta, che ho tenuto in canna per quasi un minuto, poi si è slamata. Ecco, quel pesce lo vorrei riprendere. E’ successo da poco, lo scorso Ottobre. Iridea del Taylor, scorre in un altopiano a 3000 metri, al mattino gelava la coda negli anelli ed era impossibile pescare, a mezzogiorno la pelle friggeva come in un deserto africano.
V: Hai viaggiato molto, il paese che ti ha lasciato il segno?
R: L’unico nel quale mi sono recato senza canna... Ero in Siria, sull’Eufrate, presso il confine iracheno. Eravamo io e Mirella, stavamo visitando un sito archeologico, una sorta di cattedrale nel deserto, ad un tratto nell’Eufrate… L’Eufrate ad Halabjian. Nel fiume gelido, ai piedi dei ruderi delle antiche mura ciclopiche, sono apparsi all’improvviso miriadi di pesci in attività in uno sfarfallamento. La canna da mosca era in Italia, tolta dalla valigia all’ultimo momento.
V: Me lo ricordo, ci avevi fatto anche un articolo…
R: Esatto, in Fly Line 3/2003, eravamo lì per visitare i ruderi di una vecchia fortezza Giustiniana. A un certo punto scorgo dei cerchi sull’acqua, poi delle bollate in seguito a uno sfarfallamento intenso: centinaia di pesci come impazziti bollarono con foga per una buona mezz’ora. Pesci grossi! V: Un rimpianto?
R: Quelli che ti ho appena detto: un pesce perduto e un paese dove non ho pescato. Pensa che lì in Siria c’erano poco distanti i ruderi di una fishery inglese. E gli inglesi non allevavano certamente carpe o pesci gatto da seminare nei fiumi delle colonie. Conferenza entomologica dopo l’uscita del libro “Gli insetti di Fly Line” ed il rinnovato interesse del mondo Pam per l’entomologia.
V: Cosa pensi dei No-kill?
R: Discorso complesso. I no-kill hanno un costruzione teorica formidabile per l’ambiente, ma in Italia questo regolamento viene usato con fini prettamente commerciali. Si ripopolano tratti brevi di fiume, la gente va a pescare ed è contenta. Se un club riesce a gestire un tratto d’acqua concessa dal comune, l’imperativo è: ripopolare! Subito dentro dei bei pesci di taglia per rendere il no kill immediatamente miracoloso. Questo è quello che avviene. Ma è un tipo di gestione che non dovrebbe viaggiare da sola. Ci vorrebbe per ogni bacino una bandita totale, come polmone, poi un tratto a prelievo limitato e ben regolato, e infine delle zone no-kill. Ho visto elevare multe su un tratto no kill delle Marche di non più di 300 metri per dei motivi futili (tipo ardiglione “poco” schiacciato) mentre a monte e a valle s’inquinava e si pescava con tutto… Questi sono squilibri demenziali. Così concepiti i no-kill ghettizzano davvero la Pam. Mentre sono da perseguire quei no-kill che aiutano la rusticità e il popolamento ittico di un fiume, e che comprendono tratti che vanno dalle zone di pesca a quelle di riproduzione. In America chiamano “Gold Medal Water” alcuni fiumi selvaggi e naturali ove non si può intervenire, ma solo regolare la pesca in modo serio; c’è da dire però che l’America ha un territorio immenso. Un altro aspetto che mi preme sottolineare è la mentalità del buonismo. Quante volte ho sentito “… quei poveri pesciolini che soffrono…”. Beh, allora non andate a pescare. Mi ricordo della lettera di un lettore che non rinnovò l’abbonamento perché usavamo carta non riciclata mentre lui era mosso a compassione per la sorte di quei “poveri pioppi sulle rive del Po”. Certamente non sapeva che il pioppo non fa parte della vegetazione originale del Po, ma solo di moderne coltivazioni industriali. Un conto è valutare la pesca in quanto fatto atavico di predazione, un conto è valutarlo con del buonismo infantile. Noi viviamo mangiando esseri viventi. La bistecca viene da bestiame allevato in lager. I buoi vengono sgozzati vivi, ad esempio, seppur intontiti. Per non parlare dei polli e dei maiali… Prima di esprimere ogni sentimento nei confronti di una preda, o commenti all’indirizzo del cacciatore o pescatore, occorrerebbe pensare un attimo alla vetrina del macellaio e ai banchi della carne nei supermarket. E questo mi porta al secondo aspetto dei no-kill. Mi sento demotivato e li evito. Io e Enzo fin dall’inizio, sia da noi che in Jugoslavia, non trattenevamo il pesce, tranne qualche raro pezzo che mangiavamo in compagnia. Avrò tenuto 10-12 pesci in tutto in tanti anni in Jugoslavia, e quasi me li ricordo tutti. Praticavamo una sorta di no-kill comunque. Voglio essere io a decidere se sopprimere o no una preda, se me lo impone la legge non mi sta bene: non riesco più a pescare motivato. Ecco che allora andiamo sul fiume a rovinare pesci, sforacchiandoli in continuazione per gioco. C’è sicuramente un aspetto discutibile in questo. Non approvo i tedeschi, ma capisco la loro legge che proibisce i no kill…come sai in Germania è vietato. Tornando ai buonisti integrali, se fossero coerenti dovrebbero diventare anche vegetariani integrali. Inorridite pure, ma a quel tempo non c’erano rifornimenti al nostro lodge. Non c’era neppure un lodge, ma solo una barca (chiamiamola così) e il pasto lo si reperiva quotidianamente. Questo che reggo fu un’ottima cena a un prezzo straordinariamente economico.
V: Hai qualche collezione curiosa in ambito Pam?
R: Colleziono le mosche che arrivano in redazione, quelle dei dressing e degli articoli in genere. Sono tutte qua, in quattro cassettoni alle mie spalle. Sono qualche migliaio, protette con sostanze antiparassiti, che ogni tanto non funzionano però. V: Quanti giorni dedichi alla pesca ogni anno?
R: L’anno scorso ho fatto tre giorni sull’Isonzo con gli amici. Pescavo con la mia Pezon et Michel in refendu di 8’ 5’’, a secca. Una goduria. Ma sono tre anni che ho rallentato… Ho altre cose per la testa. Mi piace stare i weekend con la mia famiglia. Con Carlotta ci divertiamo tantissimo con la caccia simulata con l’arco. Le ho già messo in mano nel passato un paio di canne da mosca, una Hardy e una Loomis, incredibilmente è andata bene, ma, credimi, è meglio che per ora maneggi degli archi e dei propulsori. A trote e temoli nella Savjnia, 2006. V: Hai pescato o peschi in acqua salata?
R: Sì perbacco, per anni, ai Jardines della Rejna, all’Isla de Juventud, ma preferisco fiumi e torrenti. Pescavo a Cuba ai tempi pionieristici con Fumolo, Maragni, ricorrendo quei fantasmi che sono i bonefish, poi i tarpon giganti, i barracuda, i jack, ma, negli ultimi anni preferivo lo snorkeling lungo la barriera e la caccia subacquea assieme alle guide per procacciare cibo. Il mio primo bonefish catturato a Cuba, ai Jardines, nel periodo “pionieristico”. Si noti l’abbigliamento relativamente, molto relativamente, tecnico.
Ed ecco il mio primo (baby) tarpon. Il mio abbigliamento era della linea “Papillon”. Tarpon catturato all’Isola della Gioventù, Cuba, Giugno 2008. V: Ti piace costruire?
R: Si, mi è sempre piaciuto. Ho molta manualità. Messori al Morsetto con Paolo Bertacchini, si realizzano i dressing per il libro “Magie immerse”, uscirà nel 2007.
V: Una mosca che ricordi con molto piacere?
R: Quella che tutti definiscono AK 47, evoluzione di una mosca di Bortolani che a sua volta gli venne mostrata da Guidotti affinché ne producesse. L’originale era un piccolo palmer grigio con hackle corto, corpo in pelo e ali in Cdc. La AK 47 è un palmer rado, senza corpo e con un ciuffo di CDC come ali. E’ impalpabile, indefinito e micidiale. Ricordo il primo giorno con l’AK47 sul Gacka: era difficile far salire il pesce. Passavo sugli erbai con questa mosca e salivano. Non mi venne neppure in mente di provare con un altro modello. Lo stesso successe in innumerevoli situazioni ed ambienti. Quando in testa si forma la convinzione della superiorità di una mosca, è peggio di un matrimonio, e non esiste divorzio! Fario nella Traun a valle di Gmunden, la mosca era una AK47. V: Un pensiero o un augurio per gli amici di Pipam?
R: Buttate via il computer! Il PC ha portato capacità mostruose d’informazione: rapide, rigorose, belle, precise e immediate. Ma salvate la carta stampata! A parte le battute, quello che vorrei trasmettere è di non perdere il contatto con la realtà. Il mondo informatico ti sostiene, ma quando esci di casa ti scontri di nuovo con la realtà. E’ come quando, a 8 anni, andavo con la nonna al cinema a vedere i film di John Wayne. Quando uscivo, camminavo da duro come lui, ma… Non bruciate la vostra essenza nei computer, o sui forum, andate a pescare piuttosto. Fatevi delle domande importanti e se anche ammazzate un pesce, mangiatevelo in pace senza sensi di colpa. V: Grazi e Roberto della bella chiacchierata
R: Grazie a te. Valerio Santagostino (BALBOA)
|