Aime’ Devaux
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Ho fatto la mia prima uscita di pesca all’estero sull’Ain, nel Jurà francese quando ancora Aimé Devaux era in vita. Ero alle prime armi ma già conoscevo il suo mito. Emozionato all’inverosimile nel posare le mie prime inguardabili mosche su quelle acque, culla di tanta storia della pesca a mosca. Ho sperato di incontrarlo, ma non è successo, né sul fiume né nel suo atelier. Ho però respirato a pieni polmoni il fascino di quel luogo, ed ho preso i miei primi temoli con una delle sue mosche.
Aimè Devaux, Mémé la loutre” (Memé la lontra) per gli amici, è nato nel 1917 ed è morto nel 1985 a 68 anni.
Era semplicemente un uomo straordinario in perfetta comunione con la natura, possedeva una specie di sesto senso, sentiva quando doveva essere sul fiume, sapeva dove si trovavano le trote e i temoli; anche senza bollate conosceva perfettamente il fiume. Aveva un modo di lanciare efficace, non certo delle belle maniere, non delle grandi teorie, ma una sobrietà del gesto ed una precisione millimetrica.
Ad otto anni pescava già, osservando i pescatori locali si mise a pescare a mosca, ed è sicuramente da Maurice Simonet, guardia pesca dell’albergo Ripotot che imparò di più. A Champagnole, molto prima della guerra c’erano dei bravissimi pescatori a mosca locali, tra cui Leon Pichegru detto “il tapois” o Gabriel Nee di Syam, che fabbricava già delle mosche artificiali. L‘Ain a quel tempo era frequentato da celebrità mondiali come Charles Ritz, Tony Burnand, L.de Boisset, Lambiot, per citarne solo qualcuno. Del resto L.de Boisset fu il suo primo cliente. Un giorno non avendo preso niente nella riserva del riporto e vedendo Aimè che stava pescando nel tratto comunale a monte della riserva, riempire il suo cesto, si avvicinò, volle vedere le mosche e comprò tutto il contenuto della famosa scatola.
La leggenda Devaux esisteva già, quella di un pescatore con la Mosca in grado di prendere senza problemi, senza nessuna difficoltà, abbastanza trote temoli per vivere di pesca, esercitando la sua passione unicamente su dei percorsi semplici per tutta Champagnole; non poteva non esserci un trucco, un segreto, una sorta di pozione magica che attirasse automaticamente le trote a prendere la sua mosca, e certi pescatori gelosi lo fecero passare per un bracconiere, molte società gli rifiutavano una carta di pesca. Quel famoso segreto non è mai esistito, c’era semplicemente un uomo straordinario in perfetta comunione con la natura, che possedeva una specie di sesto senso, sentiva quando doveva essere sul fiume e sapeva dove si trovavano le trote e i temoli.
Era un osservatore nato, vedeva tutto, sentiva tutto, e si interessava a tutto ciò che succedeva nella natura, era un pescatore, un cacciatore accanito e infaticabile, ma non tollerava che si uccidesse per niente. Da giovane abitava nella fattoria Des Iles verso Champagnole, sulle rive di un fiume allora magnifico, l’Aiguillon, popolato di trote dalla carne molto colorata, più di quella dei salmoni, che sfortunatamente è molto cambiato oggi, perché in secca per più di tre mesi all’anno.
Era l’uomo delle sfide, e lì il suo senso dell’acqua gli permetteva di prendere una trota sotto quel cespuglio senza che una bollata fosse visibile, di prendere tre temoli in quella corrente, di prendere una trota in condizioni impossibili, di lanciare a 18 - 20 m mentre aveva una parete di alberi molto alti dietro le sue spalle.
Fu così che si fece la sua reputazione, alcuni pescatori venivano a bussare alla sua porta alle cinque di mattina per avere delle mosche, acquistarle a qualsiasi prezzo, e lui gliene dava.
Fu il caso del signor Boudei, industriale di St.Pierre de Corps, che un po’ più tardi lo introdusse da Pezon e Michel ad Amboise, il suo primo grande cliente, a cui presentò la sua prima collezione di una trentina di effimere. E fu in quel momento che prese la decisione di fabbricare delle mosche artificiali per farne un commercio. Prima lavora con sua moglie Denise, nel corso dell’inverno 1954/55, poi davanti al grande successo con una, poi due, poi tre, poi 10 operaie, tutte donne, numero che non ha mai voluto superare malgrado le offerte che gli furono fatte, tipo quella di un rappresentante di un grande distributore americano venuto a proporgli un ordine di 50.000 dozzine di artificiali per anno, che non volle mai accettare.
Aimè Devaux ha sempre dato la precedenza alla qualità, dell’amo, delle hackles, trattati specialmente per essere perfettamente impermeabili, dei passaggi costruttivi con la sua tecnica particolare di montaggio avanzato, ovvero hackles girate in avanti e non all’indietro perché possano vibrare ed asciugare in maniera impeccabile.
Era un padrone esigente, che controllava tutto, non sempre facile, ma molto umano, assecondato da Denise sua moglie, sempre presente, sempre gentile, sempre pronta a ricevere amici, compagni, pescatori, in atelier come a casa dove preparava dei pranzi degni di un grande chef.
Negli ultimi anni della sua vita decise di fare un’altra lotta, quella dell’ecologia, quella vera, non quella degli intellettuali, ma quella di un uomo della natura che si è reso conto a poco a poco, giorno dopo giorno, dei danni causati principalmente all’acqua e ai fiumi che conosceva così bene. Egli stimava che una delle più grandi catastrofi ecologiche di quegli ultimi trent’anni fosse l’essiccamento degli stagni e delle torbiere, in quanto la torba, essendo una fibra naturale purificatrice svolgeva benissimo il suo compito di filtro. Inoltre l’assenza di spazi di ritenuta sarebbero stati la causa di gravi inondazioni, per questo metteva su tutte le sue corrispondenze commerciali e private, per attirare l’attenzione, un timbro: STAGNI SECCHI=PIANE INONDATE… Quello che è successo nel corso degli anni 80 e in particolare nel 1989 e agli inizi del 1990 sembra sfortunatamente avergli dato ragione.
Aimè Devaux aveva una mole abbastanza grande, questo era un vantaggio perché era indispensabile pescare in wading in molte acque della France-Comtè, l’Ain fra gli altri. Se si pratica il wading profondo, come faceva Aimè, si ha maggiormente una grossa stabilità e si rischia meno di scivolare o avere altri incidenti nella corrente. Aveva delle braccia possenti e poteva lanciare lontano, ma non era un sistematico del lancio lungo, e attaccava il pesce lanciando il più vicino possibile, provando ad avvicinarlo o a circondarlo.
Ricercava innanzitutto l’efficacia, pescava con una DT in seta dell’epoca, ed usava un mulinello automatico di buona marca, l’Abeille, il peso e gli inconvenienti di questo mulinello non gli sfuggivano, ma egli ricercava la velocità di esecuzione, e l’automatismo gli faceva guadagnare del tempo. Lui strepitava contro certi turisti parigini, fra l’altro, che pescavano esclusivamente con punte sottili; egli portava le trote al guadino il più rapidamente possibile, ne portava sempre uno piccolo a forma di racchetta, oltre al suo enorme paniere in plastica verde.
Tutto questo per dire che non faceva poesia in riva al fiume, rapidità, precisione ed efficacia erano la sua divisa, e pescava sempre le trote con mosche secche galleggianti, lanciando a monte, mentre attaccava generalmente i temoli lanciando a valle; aveva un colpo magistrale per distendere la sua seta verso valle a monte della bollata del temolo, senza lasciare troppe scie. I temoli erano portati al guadino come anche le trote senza troppe storie.
Appena i primi caldi arrivavano egli usciva in pesca regolarmente di sera, non lontano da lui, all’epoca abitava in Rue Progin a Champagnole; egli sapeva sempre se il coupe du soir avrebbe avuto luogo o no, se sarebbe stato tardivo, o forse se avrebbe avuto luogo prima e se sarebbe stato corto, sapeva sempre dove avrebbe trovato qualche bella trota in attività.
Negli ultimi anni, siccome la sua vista era già diminuita, chiedeva ai suoi compagni di pesca di infilargli le sue mosche e preparava tranquillamente uno o due finali che arrotolava attorno al suo cappello per la sera, il tutto bevendo un bicchiere nell’osteria locale. Se da un lato amava invitare degli amici e pescare con loro, la sera spariva sui suoi pesci preferiti, che aveva accuratamente scovato di giorno, e non tornava mai senza niente. E all’epoca pescava quasi unicamente sui tratti pubblici che erano già molto battuti, molto di più per esempio che i fiumi di Lozère più facili.
Le sue mosche preferite erano la grigia corpo giallo in più taglie le “prof.”, le Altieres, la 960 e la 420 che montava su ami enormi per i suoi coupe du soir, non aveva che una scatola di mosche, una grossa scatola lucida facile da aprire e dove a volte cercava a lungo il modello che gli dettava il suo buon senso o l’intuizione, era un pescatore istintivo e razionale al contempo.
Devaux ricerca incessantemente piume in tutto il mondo, facendole arrivare anche dalla lontana Australia. Fino al giorno della sua morte, nel 1985, Mémé ha creato giorno dopo giorno sempre nuovi modelli. Descritto come uomo sicuro di sé, estremamente franco, generoso e di grande talento, Devaux rappresenta, al meglio, un Pam che ha saputo fare della propria passione un lavoro.
L'azienda Mouches Devaux creata da Aimé Devaux negli anni '50 a Champagnole nel Giura è ora rilevata da Jean-Marc Chignard, un eccezionale pescatore e appassionato di pesca a mosca quanto il suo anziano Aimé Devaux. Dal 2020, ha scelto di convertire gradualmente la sua collezione di mosche per offrire solo mosche senza ardiglione e produrre sempre più articoli direttamente in Francia utilizzando prodotti ecologici.
Credo che uno dei modi migliori e più efficaci per conoscere un personaggio sia tuttavia sentire dalla sua viva voce come lo stesso si racconta. Ecco allora che scovare un’intervista vecchia di 55 anni è un po’ come mettere in ordine conoscenze e contraddizioni a volte frammentarie e non documentate di questo eclettico personaggio, e di goderlo a tutto tondo.
INTERVISTA AD AIME’ DEVAUX
Traduzione integrale di una intervista a Devaux comparsa nel 1968 sulla rivista francese “Toute la peche”
Se in un giorno di primavera o in una sera d’estate decidete di pescare a mosca nell’Ain, a valle di Champagnole, avete buone chances di fare la sua conoscenza.
E sarà facile simpatizzare con lui, e dopo che avrete assistito alla più bella dimostrazione che sia dato ammirare nella vita di un pescatore, probabilmente vi ritroverete alla sua tavola. E che tavola! Chi gli ha dato la reputazione di orso? È vero che un orso ha un po' delle sue silhouette tozza e potente, è vero che pesca, ma non pesca a mosca. A secca aggiungerei, perché questo fenomeno alieutico non ha altro credo se non la pesca con la mosca secca, da sempre.
Le trote vi bollano davanti, a destra e a sinistra, ma per farne salire una… bernique!
Eppure tutta la scatola degli artificiali ha solcato l’acqua. Forse più in alto saranno meno difficili?
Macché, sopra è esattamente lo stesso, per voi almeno; perché, una ventina di metri più a monte, un pescatore locale, a giudicare dal suo abbigliamento, ne ha appena fatte salire due in pochi minuti.
Vi ha visto, ma non vi viene incontro con fare minaccioso o sospettoso. E questa è la prima sorpresa. Infatti in tutte le acque pubbliche della Francia, non c'è pescatore locale che, se ti ha annusato da oltre un chilometro, lasci un pesce a te straniero.
A voi dunque la trota facile. Lui, con una maestria e una facilità sconcertanti, attacca con un rollè una bollata impossibile sotto un gruppo di salici.
Voi fate la prima passata e non succede niente, la seconda passata e niente, la terza passata ancora niente. È finita. La trota spaventata non bolla più.
Anche quella attaccata dal locale non bolla più. Si dibatte nel guadino!
Ed eccolo di nuovo in azione su un temolo questa volta, in mezzo alla corrente. Il tempo di cambiare la mosca (come avrà fatto ad identificare le preferenze di un pesce a 20 metri…) e via nel guadino nuovamente.
C’è da restare perplessi e grattarsi la testa. Non è più pesca, è una maratona. Non è solo talento, ma piuttosto un dono, una sensibilità, un fluido, una anomalia…. Come è anomalo il modo di frustare indifferentemente con la destra e con la sinistra, di dritto, di rovescio, in rollè, di sopra e di sotto. Tutto questo con una forza e una potenza controllata che gli permette all'ultimo secondo, di posare la coda con un'incredibile leggerezza senza schizzi e senza pieghe. Come anomala è la precisione. Come anomalo è il fatto di non asciugare né ingrassare mai la sua mosca.
Come è anomala la sua gentilezza quando mi avvicino a lui.
“Vedo che funziona?”
“Funziona sì. E la vostra?”
“Eh, Io sapete… io non ho conoscenza del fiume. Credo comunque di avere delle buone mosche.”
“Fate vedere.”
Dal suo sorriso malizioso so in anticipo che mi dirà che non è quella giusta: è un classico
“Effettivamente è quella che stan prendendo in questo momento. È uguale.”
Ed era vero, il che non spiega però proprio niente, tanto meno perché dopo tre passaggi non sono riuscito a tirar su questa trota che bolla a 10 metri, mentre lui la aggancia alla prima passata.
“E’ un fluido ne sono sicuro.”
“Ma no, ma no, non c’è segreto. Bisogna semplicemente presentare molto bene la mosca, posarla al posto giusto ed al primo colpo, a monte della bollata. Io dico ben a monte, e non di tre quarti, se no la trota non se ne interessa. Provi quella. A monte neh! 1,50 mt sopra.”
“Voi quante ne avete prese oggi?”
“Cinque. Ne ho abbastanza. Mi fermo.”
“Perché a volte ne prendete più di cinque?”
“Si, se ne ho bisogno.”
Il tutto detto naturalmente, senza falsa modestia. Come quando mi ha spiegato che non bisogna mai asciugare una mosca con l’Amadou o uno straccetto, perché non solo fa penetrare l’acqua nelle hackles, ma le rompe.
Allo stesso modo è inutile ingrassare la mosca. Non ne ha bisogno. Prima di essere montata è stata specificamente trattata per non essere più ingrassata.
“Vedo… ma le dico che se non si ingrassano, certe mosche colano a picco come ninfe.”
“D’accordo, ma non le mie.”
“Perché le vostre no? Sono speciali?”
“Si e no… sono io che le costruisco.”
“Ma non quella che avete in pinta alla lenza. Quella è una Devaux.”
“Io sono Aimè-Devaux.”
“Ah!”
Ma allora tutto cambia! Ho veramente davanti un fenomeno, reputato uno dei migliori pescatori a mosca del mondo, non soltanto in Francia ma in tutta Europa ed anche in America.
“Ho preso più di 50.000 trote”. racconta senza presunzione. “Tutte selvatiche. Quasi quante il famoso Simonet, che però praticava solo la pesca in acque private.
Aimè Devaux è certamente uno dei migliori costruttori di mosche artificiali. La sua firma è segno di qualità e di galleggiabilità. Eppure a vederle, queste migliaia e migliaia di mosche stipate nel suo atelier, non sembrano niente di speciale.
A guardarle più da vicino, addirittura, deludono un po'... Non sono né le meravigliose imitazioni di Madame de Chamberet, né quelle perfette di Ragot, né le classiche di Bresson. Sono tutto e niente allo stesso tempo.
“Le mie mosche sono degli abbozzi, degli schizzi e non delle copie esatte, molto più efficaci in azione di pesca; il pesce infatti tiene conto dell’aspetto generale, della siluette, della grandezza e del colore di base. Infatti, in caso contrario, a meno di montare un artificiale senza amo, non abboccherebbe mai!
Un buon schizzo è quasi sempre più evocativo di una fotografia o di un disegno perfetto, eppure massimizza certi aspetti e ne minimizza altri.
Le mie mosche sono così. Scegliendo fin dall’inizio unicamente materiali galleggianti, amo a parte, e hackles di prima qualità, trattate specificatamente in maniera da renderle totalmente impermeabili, finendo con una selezione draconiana dopo la produzione.”
“E’ per questa ragione che all’inizio le vostre mosche non affondano?”
“Non all’inizio! Esse non affondano, Non possono affondare. Da un lato c’è il trattamento speciale delle hackles che è veramente il mio segreto, dall’altro il montaggio della mosca, o meglio il montaggio al contrario.”
“Le hackles sono rivolte verso l’avanti e non verso l’indietro. Perché”
“Per la buona ragione che in questo modo le stesse non possono incollarsi al corpo, ma vibrano bene e si asciugano durante i falsi lanci.
Ci sono poi cento altri piccoli dettagli troppo lunghi da spiegare, ad esempio tra gli altri il bilanciamento in base alla lunghezza del corpo.”
“Nessuno dei 250 modelli differenti di mosche che offrite ai pescatori sono realmente brillanti o quantomeno colorati come sovente si trovano negli scaffali degli altri fabbricanti. Perché?”
“Bisognerebbe chiedersi se vogliono prendere pesci o pescatori. Le mosche non brillano mai e i loro colori son sempre tenui.”
“Costruite anche mosche sommerse e ninfe?”
“No, sarebbe una contro pubblicità. Per altro mi sento di poter imitare o caricaturare se preferite, qualsiasi mosca, sia essa una effimera o una friganea, a condizione di aver un modello reale.”
“Questi vostri 250 modelli sono tutti ugualmente validi?”
“Diciamo che lo sono secondo le circostanze ed il luogo. Non vi vedo a pescare nel Dessoubre con una Pont-audemer per esempio. Anche se non si sa mai…
Io ho preso almeno una trota con ciascuno dei modelli che ho costruito. Alcuni di questi modelli, che utilizzo più spesso, risalgono ai miei esordi, quando correvo in pantaloncini corti lungo il fiume e nelle fattorie per rubare le piume ai galli. Da allora ho semplicemente migliorato il montaggio e la galleggiabilità.”
“Quando è iniziata la tua avventura?”
Sul volto di Devaux compare una sorta di sorriso, come quella di un generale in pensione che pensa ed evoca le sue vittorie.
“Il mio esordio… erano gli inizi di tutti quelli della mia generazione, ricordi di ceste e ceste di trote che si potevano prendere con un semplice bastoncino di nocciolo, un pezzo di spago, uno spillo imbottito di lana. Poi arrivò la guerra, la prigionia e l’evasione. Ero ricercato dalla polizia tedesca e da quella francese, privato insieme a tutta la mia famiglia anche della tessera alimentare, ed era necessario mangiare lo stesso…
Quindi io pescavo e pescavo…scambiando le trote per del pane, del burro, delle patate e della carne. Poi la guerra finì, ma io continuai a pescare per guadagnarmi da vivere, dal momento che non c’era futuro per il mio mestiere di ebanista. Avevo perso la mano e c’era poca richiesta.
Come tutti i pescatori del luogo mi montavo le mosche da solo, forse un po’ migliori delle altre, perché ne facevo di più e ne regalavo in giro tante. E così, senza che io facessi niente, la gente ha cominciato ad apprezzarle, a chiedermele più spesso, poi mi hanno chiesto di venderle... ne ho vendute alcune. più per non turbare chi me lo chiedeva che per guadagnare soldi. Poi… poi… Tu sai cos'è. Ci metti il dito sopra e tutto il resto passa e un bel giorno mi son ritrovato costruttore di mosche, assistito in questo prima da mia moglie, poi da un operaio, poi da diversi.
E questo è tutto.”
“Senza mai abbandonare la pesca?”
“E no… Devi giudicare tu stesso l'efficienza della tua produzione… dai, sto solo scherzando. In realtà Io ho tutt’ora il virus della pesca a mosca, la stessa ammirazione di un tempo per un fiume da trote, e provo la stessa emozione quando vedo il riflesso in acqua dei cerchi di una trota che bolla.
La sola differenza è che oggi pesco per il piacere di pescare e non più per il pesce.”
“Che comunque prendete sempre da quello che ho potuto notare…”
“Si sempre… meno di vent’anni fa, ma comunque sempre. Il pesce lo tengo solo se ne ho bisogno per degli ospiti, diversamente lo rimetto in acqua. Non si deve distruggere il capitale, e mi chiedo cosa ne facciamo di dieci pesci al giorno…”
“Perché voi sostenete che oggi è ancora possibile catturare dieci pesci di taglia al giorno con la mosca? State scherzando?”
“Niente affatto. Certamente capita a me, come a tutti, di fare un’uscita a mani vuote, ma è molto raro. Un consiglio. non credere mai a quello che ti dicono i pescatori locali quando si tratta di densità di trote nel loro fiume. Essi hanno troppa paura che un estraneo prenda le LORO trote, per ammettere quante ce ne sono.”
“Posso domandarvi che mosca usate di preferenza?”
“Io dovrei rispondere: tutte. Ma sarebbe falso, così come il dire che ne uso una sola. Eppure quello che vi sto confidando vi sorprenderà. Io, Aimè Devaux, costruttore di mosche, che vive sulla diversità delle mosche, considero e sono pronto a dimostrare, che un pescatore può prendere i pesci con una sola mosca, più precisamente una sola serie di mosche; la A4 della mia collezione, hackles grigio medio, corpo giallo sabbia, diciamo in quattro taglie differenti di amo dal n. 8 al n 18. Un buon pescatore intendo. Questa mosca imita tutte le effimere del creato.”
Una pausa, il tempo per assaporarne l'effetto di questa posa…
“Intendiamoci, ho detto prendere dei pesci, non ho detto prendere moltissimi pesci. Perché se per esempio le trote stanno salendo su delle friganee, la vostra A4 ne può far salire una, forse due, mica di più, mentre se usate una imitazione specifica, ne ferrate tre volte di più. E così via…, a seconda delle specie, per il colore del corpo, del collarino, della taglia, della forma, delle ali.
E così cercando la perfezione e raffinando e raffinando si arriva velocemente ai 250 nodelli. Perché se all’inizio l’arte di pescare a mosca si limita a far prendere dei pesci, l’evoluzione velocemente ed inevitabilmente si raffina. Il piacere è sempre quello di prendere pesci, ma prendere quelli che sono più difficili. È per questo che una mosca può dover essere cambiata una, dieci, venti volte. La diversità è una fantasia senza esserlo… comprendete?”
“Si… ma per arrivare li bisogna essere capaci. Anche di portare una ferrata sicura su un finale capillare… quasi un azzardo.”
“No. Il finale troppo fine è un’utopia. Non scendo mai sotto i 18/100. C’è tuttavia una combinazione. Io ingrasso la mia coda affinché galleggi impeccabilmente, così come il mio artificiale.
La trota non è diffidente verso ciò che galleggia.”
Ancora un concetto, poi le offro da bere.
“La pesca a mosca non è quello che tanti pensano né quello che vogliono far credere. Ovvero un’arte difficile per un'élite. Mi lasci sorridere!
Tutti possono pescare a mosca se solo sono un po’ osservatori. Le posso dire che in quattro lezioni sono in grado di far prendere ad un pescatore che non ha mai tenuto una canna da pesca in mano, una trota. E altrettanto in poche lezioni, trasformare un mediocre pescatore in uno buono.”
“Un’ultima domanda. Perché si fa tardi e mi avete promesso di farmi prendere una trota domani al sorgere del giorno prima della mia partenza.”
“Cosa ne pensate delle mosche degli altri costruttori?”
“Sapevo che sareste finito lì… una trappola eh? Le mosche degli altri costruttori non sono né peggiori ne migliori delle mie. Sono differenti e questo è tutto.
È un’altra scuola. Un pescatore deve provarle. Nella pesca a mosca non c’è niente di assoluto. È un pescatore che deve giudicare ciò che è buono o valido e non io…”
Sarà stata la carne troppo buona o il vino del Jurà, ma tutta la notte ho sognato mosche artificiali, migliaia di mosche artificiali che le trote prendevano saltando fuori dall’acqua.
Alle ore 9, quando abbiamo lasciato le rive del fiume io avevo tre trote nel mio cestino. Aimè Devaux ne aveva otto. Evidentemente aspettava ospiti!
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