La luna si è incastrata fra le nuvole
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- Scritto da Maurizio Chiossi (Padre Brown)
Racconto
06/02/01 di Maurizio Chiossi (Padre Brown)
Non era mai accaduto, che il ricordo del sogno fosse rimasto impresso nella sua memoria con tanta vivezza. Il sogno, come ogni volta, si era svolto in bianco e nero. Paolo scuoteva la testa, seduto sul bordo del letto, cercando di recuperare lucidità. Prima di tutto, cercò di ricordare dove si trovasse, andò alla finestra, sollevò la tapparella e fu investito dal blu del mare e del cielo.
Ora, tutto era chiaro, si trovava a Vietri, era arrivato la notte precedente, dopo un viaggio lunghissimo in auto attraverso l’Italia. Ordinò la colazione e pregustando le calde sfogliatelle dell’Hotel Baia, si tuffò nella doccia.
Solo dopo aver sfogliato il "Corriere", accese la prima sigaretta della giornata e guardò lo straordinario panorama del Tirreno e l’inizio della Costiera. L’orologio indicava che mancava ancora un’ora al primo appuntamento, si stiracchiò al sole come un gatto e ripensò al sogno della notte precedente. Aveva, forse dodici anni, quando aveva fatto quel sogno la prima volta, ma negli ultimi anni la frequenza era aumentata e anche la nitidezza e vivezza del ricordo al risveglio. Non era quello che normalmente sognava, era invece, come vedere attraverso gli occhi di un altro scene di vita quotidiana. I luoghi dove si svolgeva l’azione erano quelli tipici di una piccola città, tante casette, il bar, l’ufficio postale e la scuola. Le bianche staccionate e l’architettura ricordavano la provincia americana, vista in tanti film, ma quanto a dire quale parte d’America fosse, per Paolo, era impossibile. Questo era il punto, per quanto si sforzasse, non riusciva a scoprire il nome del paese in cui agiva. Aveva provato mille trucchi, ma alla fine, quando riusciva ad entrare in paese, magari guidando l’auto, il cartello stradale che lo accoglieva era illeggibile.
Non riusciva nemmeno a vedere il proprio volto e quando si trovava di fronte ad uno specchio, questo non gli rimandava nessun’immagine riflessa. Una volta, gli accadde di radersi senza vedere l’immagine del viso. Un’altra delle cose straordinarie era che, in quei momenti, parlava e capiva perfettamente l’ inglese, cosa per lui straordinaria, visto che la sua conoscenza della lingua era di tipo scolastico. Il trillo del telefono, che gli annunciava l’arrivo del suo visitatore, lo scosse da quei pensieri e lo riportò alla realtà delle cose, la corsa era partita e bisognava scendere in pista.
Quelle erano giornate straordinariamente intense e quel giorno, in particolare, avrebbe lavorato a Napoli, la Napoli su cui regnava alla fine degli anni ottanta, re Maradona. La città era un fermento d’iniziative e si respirava aria di rinnovamento. Paolo era ormai abituato a vivere e lavorare lontano di casa per giorni ed a volte anche per settimane. Erano anni di gran vitalità. L’agenda era al tutto esaurito, gli appuntamenti lo avrebbero portato in giro per una città che ricordava, per i colori ed i suoni, più l’America Latina che il Mediterraneo.
Corse attraverso Galleria Vanvitelli, il Vomero e Viale Partenope a passo di samba, nell’ordinato e totale caos della città.
Consumò una leggera colazione vicino a Capodimonte e poi, via di nuovo verso Pomigliano.
Tornò in albergo per le nove, era stanco e non aveva fame. Dopo aver fatto una rapida doccia ed essere rimasto completamente nudo a godersi il fresco della sera, telefonò al bar per ordinare qualche tramezzino.
Indossò un paio pantaloni di lino ed una camicia. Sedette in balcone ed osservò la dozzina di sigarette che erano rimaste nel secondo pacchetto che aveva iniziato, a quel tempo Paolo era un forte fumatore e superava la quota di trenta sigarette al giorno. Ne accese una e rimase a guardare la luna che sembrava sospesa fra cielo e mare, come una straordinaria lampada alogena. Il ricordo del sogno, della notte precedente, sbucò fuori dalla coltre dei suoi pensieri dove si era rifugiato per tutto il giorno. Questa volta il luogo dell’azione era situato su un fiume,
Paolo aveva percorso questo fiume controcorrente, rivelando una particolare abilità nel camminare sopra i sassi resi viscidi dal limo. Nella sua mano, una canna di legno che, con movimento ritmico di pendolo rovesciato, faceva volteggiare in aria una strana lenza. All’estremità della quale era annodato un amo ricoperto di piume che si posava delicatamente sull’acqua allo stendersi della stessa. Paolo osservava, stregato, le evoluzioni di quelle piume sull’acqua in attesa di un evento che, però, non occorse mai.
I pescatori che aveva visto da ragazzo non si muovevano sul fiume, usavano vermi come esche e non facevano volteggiare quella strana lenza. Ricordò un film molto divertente con Rock Hudson che trattava di pesca, ma in quel caso l’esca era un cucchiaino metallico. Il discreto bussare alla porta gli ricordò che era arrivata la cena.
Negli anni a venire il sogno tornò e tornò ancora, portando immagini di vita quotidiana e persone care. Due graziosi bambini, una moglie sicuramente amata, che baciava con passione al ritorno dal lavoro. Già, il lavoro, un lavoro molto simile a quello di Paolo. Lunghi spostamenti in auto lo portavano in giro, per quella, che lui era ormai convinto fosse, l’America della fine degli anni trenta. Aveva osservato il proprio corpo più di una volta e la cosa che aveva stupito Paolo, era che non ci si trovava per niente male. Il culmine, il sogno lo raggiunse in quella che, negli anni successivi, avrebbe ricordato come la scena del lungo addio. Paolo si trovava in una stazione ferroviaria, era fermo sulla pensilina e abbracciava la moglie in lacrime. Cercava di consolarla, di dirle di non temere per lui, ma più lui cercava di rendere meno penoso quell’addio, più lei piangeva. Infine, soffocato dalle lacrime, lui stesso, era salito sul treno in corsa verso una destinazione ignota.
Il sogno pur tornando ancora, ma non aveva più fatto progressi e Paolo pensava alla scena della stazione come all’ultima in ordine cronologico.
I tramezzini ai gamberetti erano stuzzicanti e Paolo si concesse il piccolo lusso, di innaffiarli con un quartino di Cordon Rouge, sorseggiando l’ultimo bicchiere guardò le nuvole candide che, improvvisamente, si erano fermate contro la luna.
Sorrise ripensando ad una sera, di due anni prima, molto simile a quella. Era in Sardegna, in vacanza con la moglie ed il primogenito che, all’epoca, aveva tre anni e mezzo e che, vedendo le nuvole arrestarsi all’improvviso, contro la luna aveva esclamato: "Guarda papà, la luna si è incastrata fra le nuvole!" Deliziato da quel ricordo, vuotò il bicchiere di champagne e andò a letto.
Epilogo
Alcuni anni dopo Paolo, passando vicino ad un negozio di pesca, vide una foto con la canna, il mulinello e la lenza del sogno. Sotto, distesa, c’era una trota con una livrea bellissima a pallini rossi e la scritta: "Corsi di pesca con la mosca."
Si fermò un attimo indeciso sulla porta e poi entrò con un sol balzo.
Non riusciva nemmeno a vedere il proprio volto e quando si trovava di fronte ad uno specchio, questo non gli rimandava nessun’immagine riflessa. Una volta, gli accadde di radersi senza vedere l’immagine del viso. Un’altra delle cose straordinarie era che, in quei momenti, parlava e capiva perfettamente l’ inglese, cosa per lui straordinaria, visto che la sua conoscenza della lingua era di tipo scolastico. Il trillo del telefono, che gli annunciava l’arrivo del suo visitatore, lo scosse da quei pensieri e lo riportò alla realtà delle cose, la corsa era partita e bisognava scendere in pista.
Quelle erano giornate straordinariamente intense e quel giorno, in particolare, avrebbe lavorato a Napoli, la Napoli su cui regnava alla fine degli anni ottanta, re Maradona. La città era un fermento d’iniziative e si respirava aria di rinnovamento. Paolo era ormai abituato a vivere e lavorare lontano di casa per giorni ed a volte anche per settimane. Erano anni di gran vitalità. L’agenda era al tutto esaurito, gli appuntamenti lo avrebbero portato in giro per una città che ricordava, per i colori ed i suoni, più l’America Latina che il Mediterraneo.
Corse attraverso Galleria Vanvitelli, il Vomero e Viale Partenope a passo di samba, nell’ordinato e totale caos della città.
Consumò una leggera colazione vicino a Capodimonte e poi, via di nuovo verso Pomigliano.
Tornò in albergo per le nove, era stanco e non aveva fame. Dopo aver fatto una rapida doccia ed essere rimasto completamente nudo a godersi il fresco della sera, telefonò al bar per ordinare qualche tramezzino.
Indossò un paio pantaloni di lino ed una camicia. Sedette in balcone ed osservò la dozzina di sigarette che erano rimaste nel secondo pacchetto che aveva iniziato, a quel tempo Paolo era un forte fumatore e superava la quota di trenta sigarette al giorno. Ne accese una e rimase a guardare la luna che sembrava sospesa fra cielo e mare, come una straordinaria lampada alogena. Il ricordo del sogno, della notte precedente, sbucò fuori dalla coltre dei suoi pensieri dove si era rifugiato per tutto il giorno. Questa volta il luogo dell’azione era situato su un fiume,
Paolo aveva percorso questo fiume controcorrente, rivelando una particolare abilità nel camminare sopra i sassi resi viscidi dal limo. Nella sua mano, una canna di legno che, con movimento ritmico di pendolo rovesciato, faceva volteggiare in aria una strana lenza. All’estremità della quale era annodato un amo ricoperto di piume che si posava delicatamente sull’acqua allo stendersi della stessa. Paolo osservava, stregato, le evoluzioni di quelle piume sull’acqua in attesa di un evento che, però, non occorse mai.
I pescatori che aveva visto da ragazzo non si muovevano sul fiume, usavano vermi come esche e non facevano volteggiare quella strana lenza. Ricordò un film molto divertente con Rock Hudson che trattava di pesca, ma in quel caso l’esca era un cucchiaino metallico. Il discreto bussare alla porta gli ricordò che era arrivata la cena.
Negli anni a venire il sogno tornò e tornò ancora, portando immagini di vita quotidiana e persone care. Due graziosi bambini, una moglie sicuramente amata, che baciava con passione al ritorno dal lavoro. Già, il lavoro, un lavoro molto simile a quello di Paolo. Lunghi spostamenti in auto lo portavano in giro, per quella, che lui era ormai convinto fosse, l’America della fine degli anni trenta. Aveva osservato il proprio corpo più di una volta e la cosa che aveva stupito Paolo, era che non ci si trovava per niente male. Il culmine, il sogno lo raggiunse in quella che, negli anni successivi, avrebbe ricordato come la scena del lungo addio. Paolo si trovava in una stazione ferroviaria, era fermo sulla pensilina e abbracciava la moglie in lacrime. Cercava di consolarla, di dirle di non temere per lui, ma più lui cercava di rendere meno penoso quell’addio, più lei piangeva. Infine, soffocato dalle lacrime, lui stesso, era salito sul treno in corsa verso una destinazione ignota.
Il sogno pur tornando ancora, ma non aveva più fatto progressi e Paolo pensava alla scena della stazione come all’ultima in ordine cronologico.
I tramezzini ai gamberetti erano stuzzicanti e Paolo si concesse il piccolo lusso, di innaffiarli con un quartino di Cordon Rouge, sorseggiando l’ultimo bicchiere guardò le nuvole candide che, improvvisamente, si erano fermate contro la luna.
Sorrise ripensando ad una sera, di due anni prima, molto simile a quella. Era in Sardegna, in vacanza con la moglie ed il primogenito che, all’epoca, aveva tre anni e mezzo e che, vedendo le nuvole arrestarsi all’improvviso, contro la luna aveva esclamato: "Guarda papà, la luna si è incastrata fra le nuvole!" Deliziato da quel ricordo, vuotò il bicchiere di champagne e andò a letto.
Epilogo
Alcuni anni dopo Paolo, passando vicino ad un negozio di pesca, vide una foto con la canna, il mulinello e la lenza del sogno. Sotto, distesa, c’era una trota con una livrea bellissima a pallini rossi e la scritta: "Corsi di pesca con la mosca."
Si fermò un attimo indeciso sulla porta e poi entrò con un sol balzo.
Padre Brown
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