Indicatori biologici ed indici biotici
- Dettagli
- Categoria principale: Fly Fishing Magazine
- Categoria: Sotto la lente
- Scritto da Marco Riva (marble)
07/09/09 - Sotto la lente
07/09/09 Testo e foto di Marco Riva (marble)
La valutazione della qualità delle acque è di fondamentale importanza sia nella ricerca ecologica di base che in quella applicativa.
La possibilità di dare un giudizio di qualità è associata al concetto di “indicatori”, cioè parametri ambientali che subiscono il disturbo operato dall’uomo sull’ambiente acquatico.
In particolar modo negli ultimi decenni sono stati introdotti i bioindicatori, per cui cambiamenti nella presenza-assenza, abbondanza, morfologia, fisiologia o comportamento di una specie indicano condizioni fisico-chimiche alterate rispetto al suo intervallo di tolleranza.
Un indicatore biologico, secondo la definizione di Johnson et al. (1992), è una specie o insieme di specie con particolari esigenze rispetto a un insieme di variabili fisiche o chimiche.
Non tutti gli organismi acquatici possono essere considerati bioindicatori; ogni buon indicatore deve avere i seguenti requisiti:
- relativa facilità di identificazione;
- range di tollerabilità ristretti (danno un contributo più utile in termini di bioindicazione (Pignatti, 1995)) ;
- distribuzione cosmopolita;
- elevate densità e dimensioni piuttosto grandi;
- variabilità ecologica piuttosto bassa;
- mobilità limitata e ciclo vitale relativamente lungo.
L’uso degli indicatori biologici permette di evidenziare gli effetti sinergici di più fonti di stress e di registrare eventi di inquinamento anche intermittenti, ma anche di evidenziare eventi drammatici dovuti ad inquinamento che ha alterato la composizione e l’abbondanza di una comunità biologica di un ambiente acquatico. Di contro, le sole analisi chimiche riescono ad evidenziare le concentrazioni alterate di sostanze presenti nell’ambiente; il loro maggior limite è che forniscono informazioni di tipo puntiforme e strettamente riferite al tempo del campionamento.
Per esemplificare questo concetto immaginiamo che in un corso d’acqua venga scaricato un quantitativo importante di sostanze inquinanti tossiche per gli organismi acquatici, con il risultato di uccidere o rarefare gli organismi residenti. Se subito dopo vengono effettuate analisi chimiche delle acque non verrà evidenziato alcun tipo di inquinamento, perché le sostanze inquinanti saranno già lontane, trasportate dalla corrente. Se invece si effettua un’analisi degli organismi residenti in quel particolare tratto, ad esempio macroinvertebrati bentonici, si potrebbe verificare l’assenza degli stessi. Non è possibile definire con questo tipo di analisi che tipo di inquinamento sia intervenuto in quel sito o quando, ma si può riconoscere che nel periodo precedente all’analisi effettuata ci sia stata una qualche forma di inquinamento, di tipo cronico oppure puntiforme e limitato nel tempo, ma altamente nocivo.
I due tipi di analisi, quella chimico-fisica e biologica, si integrano a vicenda, fornendo informazioni diverse e complementari, per cui l’approccio integrato risulta particolarmente utile per conoscere lo stato di comunità ed ecosistemi.
DAGLI INDICATORI BIOLOGICI AGLI INDICI BIOTICI
L’idea di poter valutare la qualità di un ecosistema analizzando risposte biologiche è nata in Europa agli inizi del XX secolo, con il lavoro di Kolkowitz & Marsson (1902) che svilupparono il concetto di “sistema saprobico” come misura del livello di contaminazione da materia organica e conseguente diminuzione di ossigeno disciolto.
Si sono elencate in precedenza le caratteristiche che devono possedere gli indicatori biologici perché possano essere considerati tali. Sulla base di queste si definisce il livello ecologico di partenza con il quale si utilizza un bioindicatore: individuo, specie, comunità.
Lo studio di singoli organismi è generalmente focalizzato su analisi di ecotossicologia, bioaccumulo e di alterazioni fisiologiche o morfologiche.
Ecosistemi naturali con una buona qualità ambientale sono in genere caratterizzati da comunità complesse, le cui componenti sono in stretta relazione e dipendenza le une dalle altre e capaci di rispondere a piccole perturbazioni senza esserne danneggiate.
L’alterazione degli equilibri in un ecosistema, sia per cause naturali che antropiche, può causare effetti tali da indurre la scomparsa delle specie più esigenti e sensibili e l’insediamento o la prevalenza di altre con range di tolleranza più ampi.
La struttura delle comunità viene così alterata in modo più o meno irreversibile, in base all’entità e alla durata della perturbazione: condizioni di stress prolungato portano allo sviluppo di comunità semplificate e caratterizzate dalla dominanza di poche specie tolleranti.
Un aspetto critico nell’uso delle comunità come bioindicatori per l’analisi della qualità delle acque, riguarda il trasferimento di conoscenze specialistiche nell’ambito dell’ecologia in linguaggi comprensibili anche per i non addetti ai lavori.
Molti autori hanno proposto sistemi di traduzione dei dati biologici riguardanti le comunità in valori numerici comparabili e riconducibili a tre diversi approcci: indici di diversità, sistemi saprobici, indici biotici.
Senza entrare nel merito, si possono quindi individuare gli indici biotici secondo uno degli approcci di cui sopra; sono quindi stati sviluppati sistemi di determinazione della qualità delle acque come:
- Indici di diversità: (Shannon, 1948): valutano l’abbondanza relativa dei diversi taxa all’interno della comunità evidenziando fenomeni di dominanza;
- Sistemi saprobici: (Kolkowitz & Marsson, 1902; Zelinka & Marvan, 1961): prevedono l’attribuzione a ciascuna specie di un valore saprobico che indichi la sensibilità della specie. L’applicazione dell’indice porta alla classificazione dei corsi d’acqua in quattro livelli di qualità, caratterizzati da un inquinamento organico decrescente.
- Biotic Score: un altro tipo di indici è quello dei Biotic Score, che prevedono l’attribuzione a ciascuna Famiglia di un valore (score) da 1 a 10 per tolleranze crescenti all’inquinamento.
- Indici biotici: analizzano la struttura dell’intera comunità, valutando sia il numero totale di taxa che la compongono, sia la presenza di “specie chiave” sensibili all’inquinamento. Il primo indice biotico applicato alla valutazione della qualità delle acque superficiali, fu sviluppato in Inghilterra da Woodwiss (1964): il Trent Biotic Index (TBI), basato sull’analisi della comunità di macroinvertebrati. Da questo hanno preso poi origine gran parte degli indici applicati in Europa, tra cui l’italiano Indice Biotico Esteso (IBE) (Ghetti, 1997)
Come accennato in Italia l’Indice Biotico comunemente utilizzato per la determinazione della qualità biologica delle acque è l’I.B.E. (Indice Biotico Esteso). I concetti sui quali in parole povere si basa l’indice sono quello di biodiversità ed esigenze ecologiche (sensibilità) degli organismi che costituiscono una comunità.
INDICE BIOTICO ESTESO (I.B.E.)
L’I.B.E. si basa sullo studio di macroinvertebrati bentonici; consente di formulare diagnosi della qualità degli ambienti di acque correnti sulla base delle modificazioni prodotte nella composizione delle comunità di macroinvertebrati a causa di fattori di inquinamento o di significative alterazioni fisiche dell’ambiente fluviale.
La scelta si basa su questo gruppo di organismi bentonici (che vivono a contatto o infossati nel substrato) in quanto la scarsa mobilità non permette loro di spostarsi lungo l’asta fluviale per sfuggire ad un elemento di alterazione, quindi “subiscono” l’effetto dei fattori di disturbo. Un altro vantaggio sono le dimensioni significative medie di questi organismi (macroinvertebrati= > 1 mm)
I macroinvertebrati quindi sono organismi che, almeno al termine dello sviluppo larvale o dello stadio immaginale, presentano dimensioni non inferiori al millimetro e sono quindi facilmente visibili ad occhio nudo. A questo gruppo appartengono: Insetti, Crostacei, Molluschi, Oligocheti, Irudinei, Platelminti e, più raramente, Poriferi, Celenterati e Briozoi.
È importante sottolineare che la comunità di macroinvertebrati, indipendentemente dalle situazioni di stress antropico, non ha una composizione costante durante l’anno ma variabile a seconda dei cicli vitali delle varie specie. La maggior parte degli Insetti vive nell’acqua solo durante lo stadio larvale e può avere una sola generazione per anno come nelle specie univoltine che quindi si rinvengono solo in determinati periodi, oppure più di una generazione per anno come nelle specie polivoltine.
Un esempio comune nei nostri fiumi e che molti pescatori conoscono sono le impressionanti schiuse di tricotteri (le più comuni sono quelle di Limnephilidae) concentrate alla sera e che possono durare qualche giorno, che determinano la scomparsa quasi immediata di larve mature nel corso d’acqua. Se si esaminano gli astucci minerali che questi insetti si sono costruiti per difendersi (gli astucci dei portasassi), si nota che sono tutti vuoti, abbandonati dalle pupe pronte per lo sfarfallamento. Lo sfarfallamento coincide con il periodo della riproduzione, ad un’assenza di adulti corrisponderà un grande numero di uova deposte in acqua, ma di difficile rinvenimento ad occhio nudo per le loro dimensioni.
Altre specie, le cosiddette poliannuali, possono avere cicli lunghi più di un anno ed essere perciò presenti costantemente nell’acqua assieme alle polivoltine. Troviamo specie univoltine tra Plecotteri, Efemerotteri, Ditteri e Tricotteri, polivoltine tra Chironomidae, Simuliidae e nel genere di Efemerotteri Baetis, mentre poliannuali tra gli Irudinei (Erpobdella sp., Glossiphonia sp.), i Molluschi (Unionidi), e sempre tra gli Insetti (Sialis, Perla, Dinocras, Ephemera). Le specie aventi ciclo lungo sono particolarmente utili, poi, per valutare i cambiamenti che avvengono nella comunità e che dipendono da esposizioni ad inquinanti prolungate nel tempo.
Il riconoscimento tassonomico di alcuni gruppi può essere particolarmente difficile (larve di Chironomidae, alcuni Tricoptera, Oligochaeta), sebbene un vantaggio dell’IBE sia quello dell’identificazione dei taxa fino al livello di genere o famiglia e non fino alla specie, troppo specialistico.
A questo proposito si riporta il livello sistematico richiesto dall’IBE per i vari gruppi di macroinvertebrati considerati dal metodo.
Tabella 1: limiti per la determinazione tassonomica nell’applicazione dell’IBE
Il numero totale delle Unità Sistematiche considerate nell’applicazione dell’indice e presenti in una determinata stazione, cioè la "ricchezza in taxa" della stazione stessa, non tiene conto di quele Unità a cui appartengono organismi eventualmente trasportati a valle definiti "di drift", che rappresentano solo presenze occasionali o temporanee; per questo motivo si introduce un numero minimo di individui appartenenti ad un taxon, al di sotto del quale tale Unità Sistematica non può essere considerata come appartenente in modo stabile alla comunità.Tale numero minimo di presenze è definito dal protocollo del metodo ed è ricavabile dalle apposite tabelle riportate nel manuale di applicazione.
Per il calcolo del valore dell’indice si utilizza una “tabella a doppia entrata” che permette di tradurre dati e considerazioni comprensibili solo agli specialisti, in un valore numerico.
L’entrata orizzontale considera l’aspetto di sensibilità agli inquinanti, mentre l’entrata verticale tiene conto del grado di biodiversità e considera il numero totale di taxa che costituiscono la comunità.
L’entrata orizzontale più in alto è a carico del Plecotteri, seguiti dagli efemerotteri e dai tricotteri. Questi tre gruppi sono chiamati gli EPT taxa, (Efemerotteri, Plecotteri e Tricotteri) e sono quelli maggiormente sensibili all’inquinamento, al netto di generi specifici che tollerano meglio i disturbi (ad esempio si ricordano: Leuctra tra i plecotteri, Baetis e Caenis tra gli efemerotteri e Limnephilidae tra i tricotteri). Gli altri gruppi considerati sono meno esigenti dal punto di vista della qualità delle acque e nel metodo IBE assumono una importanza maggiore non tanto per la sensibilità, quanto perché contribuiscono alla ricchezza in taxa (biodiversità), altro concetto ecologico su cui si basa il metodo.
Tabella 2: tabella a doppia entrata per la determinazione del punteggio IBE
Legenda:° nelle comunità in cui Leuctra è presente come unico taxon di Plecotteri e sono contemporaneamente assenti gli Efemerotteri (o presenti solo Baetidae e Caenidae), Leuctra deve essere considerata a livello dei Tricotteri per definire l'entrata orizzontale in tabella;
°° per la definizione dell'ingresso orizzontale in tabella le famiglie Baetidae e Caenidae vengono considerate a livello dei Tricotteri;
- giudizio dubbio, per errore di campionamento, per presenza di organismi di drift erroneamente considerati nel computo, per ambiente non colonizzato adeguatamente, per tipologie non valutabili con l’I.B.E. (es. sorgenti, acque di scioglimento dei nevai, acque ferme, zone deltizie, salmastre);
* questi valori di indice vengono raggiunti raramente nelle acque correnti italiane per cui occorre prestare attenzione, sia nell'evitare la somma di biotipologie (incremento artificioso della ricchezza in taxa), sia nel valutare gli effetti prodotti dall'inquinamento trattandosi di ambienti con elevata ricchezza in taxa
I valori decrescenti dell'indice vanno intesi come un progressivo allontanamento da una condizione "ottimale o attesa", definita dalla composizione della comunità che, in condizioni di "buona efficienza dell'ecosistema", dovrebbe colonizzare quella determinata tipologia fluviale. La composizione "attesa" varia ovviamente a seconda dalla tipologia fluviale considerata.
A questo punto l’applicazione del metodo stabilisce di assegnare una classe di qualità ad ogni punteggio ottenuto. Queste classi consentono la rappresentazione dei corsi d'acqua mediante cinque intervalli di giudizio, piuttosto ampi e quindi meno soggetti, rispetto all'indice numerico, agli errori ricorrenti in una valutazione così complessa. Anche per le Classi di Qualità possono venire espressi livelli di giudizio intermedi fra due Classi di Qualità.
Tabella 3: conversione del punteggio IBE in giudizio e classe di qualità
Come si campiona?Il campionamento della fauna macrobentonica è relativamente semplice, sebbene di debba prestare attenzione ad alcuni fattori.
- Innanzitutto ci si deve munire di un retino con maglia di dimensioni non superiori a 0,5 mm, in modo di poter catturare tutti gli organismi di dimensioni assimilabili al macrobenthos (dimensioni minime di circa 1 mm, Figura 1).
- Ci si deve munire di guanti, per poter sciacquare il substrato più grossolano (sassi, massi) senza ferirsi le mani o per il rischio di prendersi un qualche patologia.
- Stivali, possibilmente waders, che permettono di campionare acque più profonde.
- Pinzette, vaschette, barattolini, lenti di ingrandimento, schede e materiale vario.
Il campionamento deve comprendere tutti i microhabitat presenti nella stazione, possibilmente dislocati lungo una sezione trasversale del corso d’acqua (Figura 2).
Figura 2: stazione di campionamento
Figura 3: azione di campionamento
Ogni organismo è adattato a vivere su determinati tipi di substrato o dentro di esso, quindi per poter catturare il maggior numero di “specie” diverse è necessario andarle a cercare dove vivono. Se quindi certi efemerotteri del genere Baetis sono abbastanza ubiquitari, ci sono altri organismi, come certi ditteri o gli oligocheti, che vivono solo infossati nel fango o nella sabbia. Se non si campiona il fango o la sabbia, per quanto poco rappresentati in un certo corso d’acqua, quasi certamente non si ha la possibilità di catturare questi ultimi organismi.
Quando si ha terminato il campionamento (Figura 3), condotto in un tempo standard che a seconda delle difficoltà riscontrate può durare da 15 a 30 minuti, si raccoglie il materiale (detrito e macrobenthos) in una vaschetta e lavorando per sottocampioni si cerca di trovare tutti gli organismi presenti. Si badi bene che non si deve raccogliere qualsiasi cosa si muova, ma di ogni organismo un numero di individui sufficiente perché possano essere considerati.
A questo punto un operatore esperto può già fare un’applicazione sommaria dell’indice IBE, perché riesce a determinare sul posto molte unità sistematiche. È comunque necessario che il campione, conservato n alcool, formalina o altro, venga portato in un laboratorio dove si osserveranno attentamente gli animali per verificare la tassonomia. Ci sono infatti molti organismi acquatici che si differenziano solamente per caratteri visibili al microscopio o allo stereoscopio.
L’ultimo passo per l’applicazione del metodo è quello di tradurre il risultato numerico di unità sistematiche rinvenute in una valore di IBE ed in una classe di qualità.
Ad esempio, se in una stazione di campionamento in un torrente alpino si sono trovate 18 unità sistematiche di cui 4 sono plecotteri, il valore IBE sarà 10, mentre la classe di qualità sarà I, che identifica un ambiente non inquinato. Se invece nelle 18 unità sistematiche non sono presenti plecotteri ed efemerotteri, con almeno 2 tricotteri, allora il valore IBE è pari a 8 e la classe di qualità è una II, che identifica un ambiente con moderati sintomi di inquinamento (questa prova può essere fatta da ognuno, con l’ausilio delle tabelle riportate sopra). Si capisce quindi che il metodo non si basa solo su quante “bestie” compongono la comunità macrobentonica (principio quantitativo o di biodiversità), ma anche che certe altre sono “più importanti” perché più sensibili alle alterazioni delle acque (principio qualitativo) e quindi pesano maggiormente nel metodo.
PROSPETTIVE FUTURE
Il metodo IBE è ad oggi la metodologia più utilizzata in Italia per lo studio della qualità biologica delle acque. Il metodo, come detto nella parte introduttiva, deriva da altri indici europei; ogni paese ha adottato il proprio, tarato sulle caratteristiche dei propri corsi d’acqua, ma i principi su cui si fondano sono spesso gli stessi. Le prospettive stanno però cambiando; il recepimento da parte dei paesi membri della Direttiva europea 2000/60 (WFD: Water Framework Directive) impone un nuovo approccio di studio della comunità macrobentonica. Ciò che viene richiesto non è, infatti, l’applicazione dell’indice biotico, ma l’analisi dell’alterazione della comunità rispetto a quella attesa in siti privi di impatti antropici. L’approccio che si sta intraprendendo nel nostro ed in altri paesi è la predisposizione di metodologie di campionamento quantitative in senso stretto (ad esempio:AQEM), che permetteranno di sviluppare un indice che risponda alle direttive europee.
L’IBE andrà quindi in pensione? Beh, sul breve periodo no, ma molto probabilmente è destinato ad essere soppiantato da altre metodiche. Ciò non toglie che il “rivoltare i sassi” proprio dei pescatori, ed in particolare di noi pam, ci possa dare un’idea della salute dei corsi d’acqua in cui peschiamo, a prescindere da leggi, direttive o quant’altro.
Marco Riva
Bibliografia
Ghetti P.F. (1997): Indice Biotico Esteso. I macroinvertebrati nel controllo della qualità degli ambienti acquatici. Trento, pp. 1-222.
CAMPAIOLI S., GHETTI P.F., MINELLI A., RUFFO S. (1994): Manuale per il riconoscimento dei macroinvertebrati delle acque dolci italiane. Vol. 1, Provincia Autonoma di Trento.
CAMPAIOLI S., GHETTI P.F., MINELLI A., RUFFO S. (1999): Manuale per il riconoscimento dei macroinvertebrati delle acque dolci italiane. Vol. 2, Provincia Autonoma di Trento.
SANSONI G. (2001): Atlante per il riconoscimento dei corsi d’acqua italiani. Provincia Autonoma di Trento. Agenzia Provinciale per la protezione dell’ambiente.
TACHET H., BOURNAUS M., RICHAUX P. (1984): Introduction à l’ètude des Macoinvertèbrès des eaux douches. Systèmatique èlèmentaire et aper?u ècologique. Association Fran?aise de Limnologie, Paris.
© PIPAM.org