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Alte quote

16/12/03

di Beppe Saglia

Tecniche e tattiche di pesca in montagna

 
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Se almeno una volta all’anno non scrivo qualcosa sulla montagna non sono soddisfatto. So di dire sempre le stesse cose, ma è un grosso impulso condividere le emozioni più forti, che spesso sono legate alle cose più semplici e comuni, con i vecchi e nuovi amici che di anno in anno mi ritrovo grazie anche a questo sito.

Le immagini che fanno da supporto al fluire di queste poche parole, sono foto scattate sul Rio Meris, un affluente di sinistra del Gesso, riserva privata di cui sono socio, che vanta un contesto ambientale assolutamente integro e una gestione naturale della pesca, buona anche se perfettibile.

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Quando posso parto presto al mattino. Mettere la sveglia alla quattro è un sacrificio che vale lo spettacolo. Un’ora veloce di auto su strade deserte, cappuccio di fronte alla Stazione di Cuneo, bar sempre aperto, dove a quell’ora i reduci dalla discoteca ti guardano gli scarponi ai piedi e la camicia a quadri con la loro aria rintronata, ed entrambi si prova soddisfazione nel constatare quanto siamo diversi. Alle cinque ho già scritto il mio nome sull’agenda, prendo su la mia sette e mezzo e mi incammino sul sentiero, subito erto, subito avvolto da un fitto bosco.

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Salgo di buon passo, respirando a pieni polmoni la sinfonia di sensazioni che quell’ambiente mi trasmette. Il buio del bosco, il silenzio assoluto a far da sottofondo allo scrosciare dell’acqua del torrente incassato, invisibile eppure così baricentrico, l’ombra di un uccello notturno stupito più di me dall'inatteso incontro. La luna alta nel cielo a guidarmi. Mi giro, è l’alba di un nuovo giorno che colora la valle, regalandomi una tavolozza di contrasti totale. Ecco, porterei qui a quest’ora un ateo se volessi provare a convincerlo che Dio esiste.

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Dopo mezzora di camminata di buona lena, è il momento di rifornirsi d’acqua. C’è una piccola sorgente vicino alla buca della pietra, gioiello di smeraldo incastonato tra rocce bianche e lisce. E' l'ultima possibilità per bere prima dei pascoli in quota. Acqua buona, fresca come questo mattino estivo. Ora il sentiero sale con il torrente, vicini l’uno all’altro. La vallata si apre e la luce del giorno, priva ancora degli abbaglianti raggi del sole, restituisce agli occhi, colori saturi e riposanti.

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Sarebbe il momento di tentare le prima pose. Spesso, in estate, sono i momenti migliori della giornata. Trote indisturbate e attive. Ma la voglia di salire prevale, almeno sino alla buca antistante la prima piana, quella dove nove volte su dieci non becco niente, ma quando becco è roba seria. Poi li c’è una delle nonne di cui tutti favoleggiano, l' hanno vista fregare, l' hanno agganciata, ma ha sempre rotto tutto. Chissà. Un torrente vive anche di questi miti tra il resoconto e la leggenda, che crescono e si intensificano con l’aumentare delle volte di cui se ne parla dietro ad una bottiglia di vino.

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Pescare in montagna, spesso è confuso col pescare in un torrente di montagna. Non è così. La montagna vera, quella senza comode strade, incomincia dove finiscono gli abeti e i larici, dove pascoli, rododendri e graniti giocano tra loro a disegnare il paesaggio, dove i camosci segnano l’orizzonte e dove i silenzi sono rotti solo dai fischi lancinanti delle marmotte allarmate. Gli spazi si dilatano, le difficoltà aumentano, i posti buoni per posare una piuma diminuiscono. La fatica della salita a volte annebbia le percezioni, a volte, spesso, le esalta.

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Salendo in quota, la pesca in lago la fa da padrona. Anche se penso che potenzialmente i laghi alpini siano pescabili, e con successo, anche con pesanti code intermedie ed affondanti, non mi sono mai sognato di avventurarmi in svariate ore di cammino portandomi dietro tutto il corredo di mulinelli ed accessori necessari per fare tale pesca. Di solito salgo con la mia solita sette e mezzo per coda due o tre, a volte con la Palù, che sta comodamente nello zainetto, raramente con una otto e mezzo – nove per coda quattro o cinque, e solo se prevedo che ci sia da pescare in distanza. Le mosche stanno tutte una sola scatola. Cavallette, sedges, palmeroni e qualche ecdionuride per la caccia, formiche, moscerini, piccoli plecotteri, terrestrials, per il lago.

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Qualche ninfa appesantita ed un paio di streamers per il torrente, che uso in casi di prolungata inattività a galla (che però spesso coincidono anche con inattività sott’acqua), qualche ninfetta leggera e qualche emergente sempre per il lago. Un tempo ero convinto che sul torrente contasse l’approccio e la presentazione, sul lago solo l’imitazione. Ora non più. Sul lago sono fondamentali proprio l’avvicinamento e la posa. Purchè ovviamente si parli di un lago indisturbato e non con i merenderos della domenica assiepati sulle sponde. Quando si giunge per primi (ecco il vantaggio di partire alle quattro), è bene non farsi attirare dalle bollate sparse che normalmente si vedono cercando quella più vicina e tentando il lancio. La frenesia non paga.

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Al contrario è consigliabile avvicinarsi cautamente all’acqua e costeggiare la riva più pianeggiante del lago, stando a circa dieci metri di distanza dalla stessa, guardando attentamente l’acqua. Spesso le trote più belle e soprattutto più ben disposte a salire su una mosca stanno lì, in poca acqua, a pochi centimetri dalla riva, in attesa che qualcosa cada giù. Sono ovviamente sospettosissime e pronte a rapidi inabissamenti al minimo rumore. Se poi le si osserva attentamente si può constatare che fanno piccoli percorsi sempre a filo d’acqua, prendendo con costanza ogni cosa che galleggia. Ben diverso comportamento rispetto a quelle che, solitamente più a centro lago, bollano selettive sui piccoli insetti che schiudono in momenti precisi.

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Il lancio e tutt’altro che facile, anzi è uno dei più difficili, perché non sono ammessi errori. One cast only! Intanto si è ad almeno dieci - dodici metri dalla riva. Normalmente si hanno i piedi o su pietraie o su rododendri o su cardi selvatici, quindi la coda non può essere lasciata stesa per terra perché si incaglierebbe subito. Spesso la riva è scoscesa e c’è il rischio, se non si tiene la coda molto alta dietro, di impigliarsi vanificando tutto. Infine la distanza deve essere calcolata con grande precisione. Non si può lanciare corto, per poi allungare al secondo lancio. Difficilmente ci sarà un secondo lancio, o perché la trota si è già spaventata con il primo, o perché nell’atto di estrarre la coda dall’acqua, al novanta per cento ci si incaglierà nella vegetazione di riva, su cui la coda stessa era giocoforza appoggiata.

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Se tutto è ben fatto però il risultato sarà quasi certo, sia che si abbia su un bruco, una sedge o un moscerino. La bollata normalmente sarà dolce e decisa. Ben diverso invece quando, giocatasi la pesca in sponda, si va ad insidiare i pesci più distanti, anche se il fattore sorpresa continua ad avere un suo peso. Infatti il primo lancio sarà sempre quello con maggiori chances di successo. La trota della foto mi ha fatto rischiare un infarto. La mosca, una grossa vapurusa, si posa a circa 15 metri dalla riva, dove l’avevo vista bollare. Lei, regale, distaccata ma curiosa, sale su dal blu più fondo, decisa verso la mosca. A dieci centimetri rallenta, si ferma un istante e fa dietrofront. Andata! penso, e intanto la rivedo risalire. Stessa scena, stessa osservazione, febbre altissima, ma purtroppo stesso dietrofront. Si sta già sfumando tra il più scuro dei blu, quando, ormai appena visibile, ci ripensa e per la terza volta, risale nuovamente facendo un otto e accostandosi alla mosca dalla parte opposta. Si piazza ad un centimetro e li si ferma. Tensione indescrivibile. Guarda la mosca con attenzione almeno per quattro, cinque interminabili secondi. Poi apre dolcemente la bocca e l’afferra.

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La cavalletta è la mia mosca preferita, almeno dal momento in cui mi sono convinto che un ciuffo di peli di cervo su un sottostante corpo palmerato in cdc arancio su un amo del 6/8 la imiti alla perfezione. Non c’è niente di più proficuo che essere convinti di usare la mosca giusta. Allora tutta la concentrazione viene posta sulla tattica di caccia, e quella si affina in funzione dei risultati.
Legare ogni sconfitta ad un errore tecnico di approccio o di attacco, e non già ad una scelta sbagliata della mosca, non sarà concettualmente corretto, ma rimane un passo fondamentale di crescita nell'affrontare il torrente. La scelta della cavalletta non è poi che sia un’intuizione così geniale. Oltre una certa quota, è praticamente l’unico boccone consistente e non occasionale di cui può disporre una trota. 

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Oltre quella certa quota… Il gusto della pesca è sempre di più legato all’amore per la montagna, alla voglia di far fatica, alla sensazione dell’unicità del postoe al privilegio di esserci. Tratti ove si contano i lanci. Si sa che in tre ore di pesca si faranno non  più di dieci pose.  Una, massimo due per ogni buca che si incontrerà, tra una cascata e l’altra, a volte distanti mezz’ora, con in mezzo tanta pietraia e tanto sudore. Niente è più casuale. Il posto buono è circoscritto dal luogo e dall'esperienza. L'attacco è predefinito. Il margine di errore bassissimo. Le catture sono poche, ma danno una soddisfazione piena, totale e persistente.

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Come possano esserci trote ad oltre duemilacinquecentometri di quota, in un torrente che rotola tra la pietra più nuda, è un affascinante mistero. Da oltre dieci anni non viene più effettuato nessun ripopolamento nel tratto in questione. C’è anche prelievo del pesce. Ciò nonostante le trote, tra quelle pietre e quelle cascate, crescono e si riproducono, ora come nella notte dei tempi e raggiungono taglie incredibili per il posto e la quota. Le livree sono eccezionalmente belle, a volte fittamente colorate di piccoli puntini rossi a volte prive del tutto come quella della foto sottostante, che sicuramente è salita o discesa da uno dei tre laghi esistenti sul posto.

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Non per niente il Re e soprattutto la Regina, trotaiola appassionata, avevano eletto questa valle a loro posto preferito nell’esercizio della pesca in montagna. A loro si attribuisce l’immissione nel Sella inferiore della trota di lago, che continua da allora ad automantenersi con riproduzione spontanea nei piccoli rialetti che alimentano il lago stesso, ibridandosi a volte con le fario, non tutte purtroppo di ceppo autoctono. Ma esiste ancora un posto dove la lunga mano dell’uomo non abbia fatto danni?

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Per concludere una giornata piena di pace, di fatica e di natura, la cosa migliore è portarsi a casa un prodotto di quella terra, magari sotto forma di formaggio. Pensare che il 99% dei formaggi che normalmente troviamo in vendita sono prodotti industriali, o che il latte da cui originano è un miscuglio di quanto raccolto sul territorio da produttori più o meno seri che adottano sistemi di allevamento molto diversi tra loro, e che la gran parte delle mucche non hanno mai visto la luce del sole o un prato, non fa che esaltare la tipicità di prodotti di altissima qualità come quelli provenienti dagli alpeggi.

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Pecore che pascolano libere su terreni aspri, duri e poveri, ma ricchi di essenze, di fiori, di profumi unici. Munte a mano ora come centinaia di anni fa, per trarne un latte ricco in sostanza ed in aromi, base per fare formaggi semplici, ricotte, tume, sole, o per altri più elaborati, a lunga stagionatura, tutti legati dall’unicità e dalla qualità figlia di tradizioni e lavorazioni affinatesi nel secoli. E’ importante che i pochi malgari che ancora fanno questo duro lavoro siano gratificati direttamenteda chi la montagna la vive solo come evasione o relax. Due chiacchiere per rompere la solitudine di chi su quelle rocce ci passa sei mesi all’anno, ed un giusto riconoscimento economico ad un lavoro così prezioso culturalmente ma anche materialmente.

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Una montagna viva e rispettata è condizione "sine qua non" per evitare conseguenze catastrofiche in seguito ad eventi naturali che solo la cecità e la presupponenza dell'uomo fa divenire eccezionali, frequenti e disastrosi.

Un saluto a tutti.

Alcuni filmati

ATTENZIONE!! Sono pesanti da scaricare.
Giacomo in Action: 48'' per circa 8 Mb Le cascate del re: 41'' per circa 7 Mb Una cattura: 45'' per circa 7 Mb

Beppe Saglia


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